"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"

30 Gennaio 2019. Chiang Mai, Monthathan Waterfalls.

Eccoci di nuovo qui, con il nostro nuovo scooter appena noleggiato per 250 Bht al giorno (se lo prendi per più giorni ti fanno sempre lo sconto) e si parte, ore 9.00. Di nuovo guida a sinistra, in Myanmar era a destra, destinazione montagne. Chang mai infatti, oltre ad avere un cuore storico con tanti Templi e magnifiche mura antiche, ha un contorno di foreste e parchi con paesaggi e panorami mozzafiato. Moltissime le escursioni. Dal rafting al trekking, di uno o più giorni, organizzati o autonomi. Noi andiamo per i secondi. Mentre percorriamo le strade fuori dal centro storico per raggiungere la nostra meta, a 5 km circa di distanza da esso, c’è la Chiang Mai moderna. Un insieme di palazzi curati, negozi, alberghi di lusso e grandi centri commerciali la fanno apparire molto vicino ai nostri standard. Un grande centro commerciale con architettura estremamente moderna è il Maya, probabilmente si trova qualsiasi cosa, dalle griffe occidentali
ai ristoranti raffinati. Usciti dalla grande città iniziamo a salire verso il “Doi Pui” montagna che raggiunge i 1685m, noi ci fermiamo a quota 750 e sarà l'inizio delnostro trekking. Destinazione cascate Monthathan Waterfalls nel Doi Suthep-Pui National Park. A 15 km dalla città si entra nel parco con tanto di pagamento all'ingresso, 100 Bht a testa più 20 per lo scooter. Iniziamo. Zainetto, acqua, due snack e via. Il percorso dovrebbe durare 1.30 2.00 ore.Il sentiero è ben visibile e ben curato.
Gradoni di finto legno (cemento) ci fanno strada. Ogni tanto vicino ad alcuni bellissimi alberi c'è la didascalia, in thai e in inglese. Si procede per il sentiero “standard”. Seguiamo pure la traccia nel nostro GPS, a un certo punto un divieto a  proseguire proprio dove il GPS indica le cascate che ci interessano. Decisione presa, iniziamo a registrare il tracciato del percorso e proseguiamo nella “zona proibita”. Non siamo né sprovveduti né stupidi temerari ma abbastanza capaci  di capire quando e perché ci sono tali divieti. Ovviamente la gestione si tutela dando un diniego in una zona non attrezzata, soprattutto per la diversa tipologia di persone che potrebbeto accedervi. Come volevasi dimostrare; il percorso è selvaggio ma assolutamente tracciato. Non è possibile
confondersi e, con attenzione, è difficile mettersi in pericolo. Siamo immersi nella foresta. Alberi immensi ci sovrastano, sentiamo sempre l'acqua che scorre accanto a noi e rare tracce di passaggi precedenti (impronte di scarpe). Liane che si intrecciano e bambù che ci danno una mano in alcuni punti esposti. Alberi di banano, piante strane e qualche guado, grandi farfalle colorate e tante termiti gigantesche, sempre indaffarate. Seguendo il fiume risaliamo ai vari salti, cascate, esattamente 4: la prima è quella che si incontra dopo circa 10 minuti dall'inizio e che da il nome al sito “Monthathan Waterfall” ; le altre sono quelle “dell'area vietate” di cui ultima è la “Sai Yoi Waterfall”. Scendiamo, per un pezzo copiamo il sentiero d'andata, poi ci prendiamo la
licenza di fare una deviazione e siamo di nuovo giù. Sono le 13.30. Ripreso lo scooter, decidiamo di continuare a salire. Dapprima ci fermiamo in un Tempio il Wat Pha Lat e proseguendo la stradina che lo affianca, in discesa, ci fermiamo al Wat Pha Dat Waterfall, caratterizzato da una cascata e un ruscello che lo attraversa. È un  Tempio antico, in fase di restauro, immerso nella natura, quasi in simbiosi con essa che gli dà un aspetto singolare. Poi ancora su, saliamo tra tornanti e fresco e qualche punto panoramico dove si può ammirare la città dall'alto, strada facendo intravediamo una marea di bus e tuk tuk. Siamo al Wat Pharathat Doi Suthep e sono le 15.30. Ci fermiamo così. Non entriamo a visitarlo perché è immenso e preferiamo rimandare a domani. Ripartiremo da qui per nuove piccole grandi scoperte. Alle 16.00 circa siamo in albergo dove ci godiamo un attimo di poltrona e una mangiata di fragole ( qui sono grandi produttori) comprate da una donna per strada : vi ricordate il sapore delle fragole naturali? Ecco, quello. Scriviamo qualcosa sul blog e vediamo le foto. Più tardi nessuno ci toglierà una birra con arachidi e patatine che abbiamo in frigorifero, per i momenti di necessità😛😛😛, comprati  in uno dei tanti punti  della catena di supermercati aperta h24 che si chiama "7eleven"  e di cui è tappezzats la Tailandia. Stanotte ceneremo negli Street food  markets, per strada. Chissà se tutte le raccomadazioni di non mangiare frutta o verdura se non cotta, no ghiaccio, ecc. valgono ancora, perché noi le abbiamo disattese da tanto tempo.

28 - 29 Gennaio 2019. Chiang Mai

Usciti dal Myanmar siamo rientrati in Thailandia, al nord, esattamente a Chiang Mai.
Sparito il Lungy, sparito il Tanaka e i sorrisi, recuperiamo meno immondezza, niente sputi, torniamo alle centinaia della moneta tailandese (100 Bht=circa 3 euro) e alla tanta energia. Questo è quello che sprigiona la Thailandia dopo aver visitato posti più tranquilli. Usciti dal confine nella città di Tachileik, abbiamo sostato per la notte a Mae Sai, confine tailandese. Ripartiti la mattina alle 9.45, con l'unico mezzo possibile, il bus, dell'unica linea che serve questa area, la Green Bus, siamo arrivati a destinazione dopo 5 ore. Il bus Express, meno comodo del VIP ma comunque molto confortevole, costa 610 Bath per due. Arrivati a destinazione ore 15.00. È ripetitivo ma qui davvero si nota la differenza, la Thailandia è un paese a vocazione turistica. Chiang Mai è una bella cittadina, una delle più popolose del paese. Si dice sia seconda a Bangkok ma lasciamo il beneficio del dubbio. Sicuro è che si incontrano tanti turisti e tante facce a noi più comuni. Il suo cuore è un centro storico delimitato da resti di mura e un fossato circostante. È strapiena di templi, censiti circa 300. Oggi siamo di ispezione a piedi. Dopo la colazione, oggi continentale, con uova, bacon, toast e caffè americano (che a noi piace tantissimo), si va alla scoperta del cuore storico. Le strade trafficate ma vivibili, sono attorniate da bancarelle e negozietti. Ci sono diversi mercati all'aperto, uno dei quali è notturno ovvero apre i battenti al tramonto per chiudere dopo la mezzanotte. Sono più ordinati e molto più puliti di quelli birmani. Spessissimo gli operatori, fruttivendoli, somministratori di alimenti e cuochi, usano guanti e qualche volta anche la mascherina. Non pensate ai parametri di igiene e sicurezza che abbiamo noi (quando li abbiamo) ma sembrano assolutamente affidabili. Oltre alla cucina thai, sono presenti molti locali di cucina indiana, giapponese, cinese e qualche libanese. La frutta tagliata e confezionata non manca mai, così come i frullati, gli smoothies e i dolci tipo pancake che si chiamano rootie e sono sottili fogli di pasta cotta in padelle con più o meno olio, ripieni di ciò che si vuole, per i sardi una specie di sebada sui generis. Si va ai Templi. Sono quasi tutti all'interno del fossato e dei resti di mura che un tempo fortificavano  la città. Sono uno più bello dell'altro. Abbastanza diversi dai Templi di
Bangkok e dintorni. Hanno uno stile più elaborato, “ architettura Lanna”, ricco di intarsi e lavorazioni minuziose in legno. In alcuni siti esistono i cosiddetti “Chedi” (lo Stupa nel Sud-Est asiatico viene chiamato Chedi) in muratura, in particolare a “Wat Chedi Luang”. Qui era custodito il Budda di smeraldo, poi trasferito a Bangkok a
causa di un terremoto che distrusse parzialmente il tempio, il quale non fu mai più ricostruito. Qui i luoghi di culto sembrano molto più sobri dei “lunaparkeschi” delle altre aree del paese, compreso Bangkok. Torniamo a Wat Chedi Luang, biglietto di ingresso 50 Bath a testa, lo Stupa di cui sopra, è circondato da Templi con i soliti tetti spioventi che li caratterizzano, con all'interno, in questo caso, la raffigurazione di Buddha in piedi. Nella parte posteriore del complesso ha sede un bel Buddha reclinato. Un Chedi si distingue dagli altri; è una piccola “Pagoda” che
contiene il “Lak Mueang” ovvero il pilastro di fondazione di Chiang Mai, dove è vietato l'ingresso alle donne, con tanto di motivazione e spiegazione scritta in una targa esterna: “Perché è proibito alle donne entrare nel tempio”:
le donne, con le loro mestruazioni, intaccano la purezza del luogo e anche gli uomini discinti sono un affronto alla sua sacralità. Qualora una di queste
condizioni venisse meno e si consentisse l'accesso, sarebbe causa di nefasti conflitti sociali.
Capito? A proposito, sapete che le donne non possono avere contatti diretti con i monaci? Se una donna dovesse passare qualcosa ad un monaco la deve poggiare, non può porgergliela brevi manu. E allora il famoso monaco con le linee del palmo nere sudice perché ha dato la mano a Robi?? Era un figlio di Buddha! Poi, sinceramente, non li vediamo così severi e integerrimi.
Ogni tanto le digressioni ci allontanano dal tema centrale.
A un centinaio di metri da questo complesso monumentale c’è un altro Tempio, sicuramente minore, ma molto carino, il Wat Phan Tao. Si accede da una piccola arcata rossa, anzi direi color vino. Il Tempio è realizzato quasi tutto in legno, merita essere visitato. Da quì ci spostiamo al centro della città vecchia e adiacente alla Chiang Mai City Art & Culture; c'è il Wat Inthakin Sadue Muang, delizioso Tempio, a noi caro, perché abbiamo lasciato una foglia color oro, quelle che nei templi Buddisti si usa legare, scrivendoci sopra un desiderio una dedica o quello che si vuole.
Andiamo avanti, a questo punto dovrei fare un elenco di tutti i Templi visitati, non mi sembra il caso. Voglio dirvi però che Chiang Mai (letteralmente: città dalle mille risaie) é una città che merita di essere visitata. Offre mercati bellissimi di ogni genere, cultura e svago. Questo, chiaramente, esclusivamente per quello che riguarda il centro urbano.
Domani cercheremo di visitare i dintorni e vedremo che sorprese ci riserverà ancora questo posto.

27 Gennaio 2019. Arrivederci Myanmar

Rettifica doverosa per chi avesse letto la pagina in cui era scritto ed ora è stato opportunamente corretto:
Il saluto birmano non si fa facendo “il metro”. Non si fa nessun gesto particolare, al massimo si fa un piccolo cenno con la testa. La mano dx si poggia sull'avambraccio sinistro sempre e solo per porgere o prendere qualcosa.
Info utili:
  1. La benzina costa circa 45 centesimi al litro ma spesso non è concesso agli stranieri di utilizzare veicoli a motore, quindi attenzione.
  2. Se, come è successo a noi, entraste dal confine e voleste cambiare soldi rimanenti con la moneta del posto d'arrivo ed è domenica, sappiate che è tutto chiuso, perché la domenica è sempre domenica tranne per?? Allah protegga i musulmani, loro, esattamente loro. Se vi serve qualcosa di domenica cercate loro perché per loro non è un giorno festivo, il loro giorno festivo è il venerdì. Per esempio:confine Tachileik/Mae Sai, dopo l'attraversamento del confine e pratiche velocissime di rito, se è domenica, andate all'angolo della caffetteria che si trova affianco al Golden Hotel, troverete l'unico cambio aperto, gestito da musulmani, con un ottimo tasso di scambio. 
E ora due parole per salutare il Myanmar, per chi volesse sorridere e/o riflettere con me, con noi.
Premetto che io ho tanto odiato questo posto all'ingresso dalla Thailandia, quanto lo amo ora che ne siamo appena usciti dopo poco meno di un mese. Gigi, essendo più tollerante, non l'ha odiato quanto me ma ha condiviso con me l'impatto negativo. Poi è stato un po’ come quando la nebbia si dirada e il sole illumina tutto, facendoti vedere quello che c’è intorno. L'impressione iniziale tra persone indifferenti, scazzatissime e tanta ma tanta immondezza, compresi gli sputi quasi addosso, hanno lasciato spazio alla bellezza di un popolo “pulito”. Si, pulito, vi sembra contraddittorio? Come tutto quello che ci circonda del resto. È vero che le zone più a sud sono diverse da quelle più a nord. Probabilmente, come spesso accade, la città snatura, mentre la campagna rimane sempre affascinante e accogliente facendo emergere l'umanità. Probabilmente le politiche della gestione dei luoghi sono più visibili in alcune zone piuttosto che in altre. Sta di fatto che questo paese, martoriato da secoli di soprusi e avvicendamenti di ogni genere, palesa una forza e una dignità pari alla Golden Rock. Ovviamente abbiamo assaggiato un piccolissimo morso di questa bella mela ma per quel poco, nel salutarlo ci è venuto il groppone in gola.
Contraddizioni e stupidate ci hanno fatto sorridere tanto ma il rispetto che ne abbiamo ora è enorme.

CAPITOLO Lungy.
Con questo “tubo” di stoffa legato in vita ci convivono come una seconda pelle. Bambini, giovanissimi, anziani, uomini e donne, tutti. C'è ne sono di seta, di cotone, finemente lavorati, colorati, sobri, per tutte le tasche. Non pensiate che costino meno del resto perché non è così. Non pensiate che siano costretti ad indossarlo, perché non è così (giusto le divise scolastiche lo impongono a tutti uguale, ma i ragazzini non ne sembrano tristi succubi). Qui le persone sembrano davvero libere, libere di fare tutto. Con questo capo fanno tutto: in edilizia, agricoltura, pesca e tempo libero, sempre il Lungy. Esistono eccome i jeans, così come i grandi o piccoli bazar con abbigliamento di tutti i tipi con prezzi accessibili  anche per loro, ma loro preferiscono indossare il gonnellone. Tutti nudi sotto, donne comprese, e sopra il Lungy. Li vedi arrampicarsi o camminare tra le pietre, asfaltare strade, stare in bilico sulle travi, con sto coso tra le caviglie e cellulare infilato in vita. Ma come fanno? Io, che adoro i gonnelloni e i vestiti lunghi, sarei sfregiata dalle zappulate (=cadute rovinose) a terra. Diciamo però che sembra si, un'abitudine, ma anche la non sottomissione ai parametri occidentali, per quanto per noi più comodi.

CAPITOLO INFRADITO.
Ah quanto vorrei essere l'inventore dell'infradito. Qui esiste un mercato di calzature, dai sandali semplici alle tacco 12; dalle semplici ballerine alle ciabatte tipo crocks, eppure NO!  infradito forever. Anche queste per fare di tutto: zappare nei campi, pescare, tagliare pietre, asfaltare strade, costruire mura, insomma una doppia pianta del piede. Non pensiate al fatto che costino meno. Spesso è così ma non è questo il motivo. Le trovano più pratiche e veloci da sfilare e infilare… mmma’.

CAPITOLO TANAKHA.
È quell'impasto bianco che mettono in viso tutti, indistintamente. Protezione naturale dal sole o semplice idratante, questa corteccia bagnata con acqua e sfregata sulla pietra chiamata Pyin Kyauk, da cui si ricava il loro fondotinta naturale è sempre presente. Tutti, bambini, uomini e donne. Non ci sono i trucchi? Il make up non è di casa? NO! ci sono tutte le cose che abbiamo noi, semplicemente credo che a loro non piaccia truccarsi. Si trovano le nostre creme idratanti, l'oreal, nivea, Palmolive ecc. I prezzi? Beh sicuramente un pezzo di corteccia è meno caro ma non so fino a che punto sia questo il problema.

CAPITOLO MONACI.
Pensavamo che fossero tutti abitanti di eremi lontani? asceti con la saggezza incorporata? Serissimi, intoccabili, distanti e profondamente immersi nella spiritualità? Du cazzi! SONO UOMINI E DONNE! c'è ne sono più o meno “seri” così come più o meno zozzi, sono bellissimi esseri umani avvolti da drappi porpora, rosa o arancione. Sorridono, si fanno i selfie, fumano, hanno tutti, dico tutti il cellulare. Scherzano e ridono tra loro. Sicuramente molti lo sono per necessità e sicuramente moltissimi sanno stare in silenzio a meditare e riflettere se non pregare, ma sono liberi; si, so che sembra una enorme contraddizione la mia e anche una stupidata ma questo è il senso. Del resto vi ricordo che la libertà così come la felicità non hanno un luogo né una “fisicità” , sono stati dell'essere, non stanno fuori, nelle cose, ma dentro di noi e non ho scoperto l'acqua calda!

CAPITOLO PULIZIA.
E qui vi voglio. Popolo sporco, immondezza dappertutto, sputi,  igiene sotto i piedi, beh non è sempre così. Intanto, dal centro al nord del paese le cose sono molto diverse che nella parte a sud. Sputano molto meno e in pochissimi; la stessa immondezza è speso raccolta in determinati punti e bruciata (inquinare per inquinare, la fanno sparire). Ma la cosa allucinante è la mania di lavarsi. In qualunque pozza, fiume, lago, loro fanno il bucato, che stendono in terra sulle pietre piuttosto che sui fili, e questo bucato  profuma di sapone, ve lo posso giurare. Poi si lavano loro. Vestiti di Lungy, si insaponano come fosse l'ultima volta. I capelli, il corpo e sfregano come avessero le pulci. Mai nudi, gli uomini indossano le mutande oppure il Lungy rotolato fino alla vita a mo di mutanda e le donne mettono il Lungy sul seno, che, una volta finito di lavarsi, sfilano opportunamente avendo sovrapposto quello pulito e asciutto, con una disinvoltura unica. Ci siano turisti o uomini che le osservano, continuano tranquillamente senza curarsene e senza il fare civettuolo né alcuna malizia o senso di imbarazzo.  Quindi, vi assicuro che, nonostante tutto, qui nessuno puzza, nessuno.

CAPITOLO SICUREZZA.
ALLIBITI, SIAMO ALLIBITI.
Non è mai capitato di stare in un paese “povero” senza essere assillati per un'elemosina o senza la sensazione del pericolo. Con Gi siamo andati in giro, da soli, lontano dai centri abitati, tra villaggi sperduti, con soldi in tasca, passaporto e altro. Sapete cosa fanno? Si fermano a salutarti. Stanno zappando, lavando i panni o badando ai bambini, che giocano felici e spensierati, e, quando passi, tutti ti fanno un ciao con la mano e il loro saluto “Mingalabar” con un sorriso e continuano a fare ciò che stavano facendo. Non hanno nemmeno quell'atteggiamento diffidente oppure quello sorpreso di vedere gli extra terrestri che troviamo nei nostri paesini dell'entroterra. Sono abituati alla commistione e alla socializzazione con gli stranieri, vivono di poco e si accontentano. Ognuno fa qualcosa e tutti hanno qualcosa di cui vivere. Non c è nessuno affamato o disperato perché c’è sempre qualcosa per tutti. Sono rassegnati? Non sono ambiziosi? Beh non li definirei proprio così. Sono puri, sono semplici e non hanno le nostre pessime sovrastrutture e l'eterna tensione ad avere sempre di più. Anche se convivono col progresso, telefonini, macchinoni, supermercati o grandi hotel di lusso guardano tutto con indifferenza, anzi non lo vedono proprio. Se passa un macchinone da noi, spesso i ragazzi e non solo, si girano e desiderano e sognano di diventare ricchi per poterselo permettere. Qui non gliene può fregate de meno.

CAPITOLO DONNE e Uomini.
Non posso dirvi troppo perché non è facile spiegare né sarebbe facile credermi. Vi descrivero’ alcune cose, i fatti, a voi le considerazioni. Uomini e donne insieme. Uomini che non hanno sicuramente attitudine alla violenza o alla sopraffazione convivono con le loro o le altre donne fianco a fianco. I lavori, dai più duri ai più semplici e quotidiani, come andare a portare o prendere i bimbi a scuola li fanno entrambi. Fortissime, sicure e dolcissime sono il cuore portante di questo popolo. Lungy o jeans, in moto, scooter o bici a fare commissioni. Qualcuna fuma, soprattutto le anziane, con dei cannoni di erbe e foglie, non marijuana, ma tabacco. Cellulare in mano e tv in capanna, cucinano e zappano. Le vedi da sole a pescare in mezzo al lago e cazziare gli uomini per qualcosa e questi sorridere o scusarsi. Non hanno tanti figli, le famiglie non sono numerose. Al massimo due o tre bambini per capanna. Non vedi donne cariche di bambini come le africane, né palesi sofferenze. Non hanno necessità di farsi  chiamare ministra, assessora o sindaca, di alzare la voce o avere atteggiamenti da dura, per essere Donna con un ruolo ben definito in società. E non hanno bisogno di stare attente ai maniaci depravati che dilagano in occidente o in alcune parti del mondo orientale. I bambini non vengono venduti per scopi sessuali come nelle Filippine o in parti del mondo dove il consumismo è più importante della dignità e della sacralità dell'essere. Lo so, vi sembra che abbia il prosciutto negli occhi oppure state dicendo “ma va, che ne saprai” o ancora “mica sarà tutto rosa e fiori”. Certo che no, ma questo è quello che ho visto e percepito io, abbiamo visto noi in questo piccolo assaggio.

CAPITOLO BUDDHA.
Non mi permetto di ragionare dal punto di vista storico culturale, filosofico e sociologico sul ruolo delle religioni nelle comunità. Non ne sarei in grado né vi renderei piacevole la lettura. Si sa  che le religioni, le credenze popolari, siano nate dagli uomini per gli uomini. Armi a doppio taglio, ancora usate, per inquadramenti e sottommissioni, intolleranze e ignoranza. Qui, il buddismo dilagante ha, però, un senso. Già di per sé è una religione complicatissima ma tollerante che, nonostante la costante presenza di Buddha e discepoli in tutto, mette al centro l'essere umano e gli esseri viventi tutti, animali e vegetali. Crede nelle capacità dell'uomo di sollevarsi dallo stato di terrena sofferenza fino ad arrivare alla pace interiore e al superamento di prove terrene. È vero che, dipendentemente dalle sue origini, ha sfumature diverse, se vi va andate a documentarvi un po. Così come è vero che parla di karma positivi o negativi e della impossilita’ di potersente liberare facilmente se non con la reincarnazione.  Il buddismo infatti considera la reincarnazione del karma come una forma di purificazione, non un premio o una punizione. Vi rendete conto di quanta importanza attribuisca alle capacità umane? Di quanto poco si concentri sul “diverso” e quindi cattivo e brutto?
Certo, anche la religione cristiana dice che in ognuno di noi c’è Dio, siamo fatti a sua immagine e somiglianza, ma quanto è brutto dico io. Ti concede il perdono, resetta tutto, così poi possiamo ricominciare a sbagliare, tanto ci perdona sempre. La sofferenza poi, a si, questa misteriosa modalità per raggiungere la pace, avvicinarsi a Dio o semplicemente fare la sua volontà per poi avere un posto migliore o no, dipendetemente dal dover espiare le colpe oppure godere del premio per le proprie buon azioni terrene. Non vado oltre che è meglio. Non mi sono convertita e purtroppo, si purtroppo, la mia fede o le abitudini di vita, perché solo di questo si tratta (fede=fiducia, bisogno di, abitudine a) non mi fanno diventare (ancora) atea ma sicuramente molto dubbiosa, molto scettica ed estremamente eretica.
Tutte queste digressioni per arrivare al fatto che qui, dove il buddismo permea ogni cosa, troverete persone sorridenti, educate, che non sono rabbiose e aspiranti a quello che non possono avere. Troverete i monasteri e i templi strapieni di soldi alla mercé di tutti, teche traboccanti di cartamoneta e soldi infilati tra gli incensi, dove nessuno osa toccarli. Chiedetevi il perché.
Ora basta, vi ho annoiato troppo? Perdonatemi, vi chiedo umilmente venia ma queste considerazioni serviranno a me, a noi stessi per ricordare.

ULTIMO CAPITOLO, dulcis in fundo I BAMBINI:
Educati e rispettosi come non mai. Sempre sorridenti e gioiosi sporgono dai finestrini o dagli scooter per salutarti. Salutano tutti, senza aspettare di essere invitati a farlo dai genitori. Li vedi andare o rientrare da scuola oppure scorrazzare tra le campagne  con le bici, se non a pesca nei laghetti. Vi raccontiamo un piccolo aneddoto. Una sera mentre rientravamo nel nostro lodge, circondato da cani, sempre mansueti e che non mancano mai, all'abbaiarci contro di uno di questi, una bambina, che avrà avuto si e no tre anni, staccandosi dalla madre con la quale giocava, raccoglie una pietra e la lancia al cane, prendendo le nostre difese, per poi regalarci un bellissimo sorriso. Speriamo che di questi gesti incontaminati qualcosa rimanga dentro ognuno di loro. Sono il futuro e la speranza in un mondo migliore che aimè è tanto malato.

“MINGALABAR”(ciao) BELLA Signora dalle mille ferite ancora sanguinanti e dalle cicatrici ben visibili, speriamo di rivederci e BUONA FORTUNA. Ci hai regalato lezioni di vita, di umanità e civiltà; ci hai fatto fare un'immersione nella bellezza più pura Ti auguriamo ogni bene e che le nostre brutture non ti tocchino mai.

25 - 26 Gennaio 2019. Nyaung Shwe

Buongiorno da Nyaung Shwe, piccolo paesino dove alloggiamo in prossimità del lago Inle. Anche quì, come in quasi tutto il mondo, esiste un turismo di prima classe e uno "normale", poi un un terzo, sotterraneo, per chi decide di fare del viaggio un proprio stile di vita (un po come noi). La differenza salta agli occhi in maniera lampante.
Troverete sicuramente, anche tra i vostri conoscenti, persone che diranno: sono stato In India o in Africa o in capo al mondo. Pochi di questi avranno toccato con mano il vero viaggio. Il contatto con le persone, la carezza ad un bambino e il compiacimento della madre per aver considerato il piccolo; incontrare il volontario in un villaggio sperduto e scoprire che impiega qualche mese della sua esistenza per insegnare a leggere e a scrivere ad alcuni bambini che non hanno la fortuna di avere la scuola a portata di mano. Assaporare il loro cibo e anche da quello capirne qualcosa in più, insomma integrandosi e non vedendo il mondo circostante come in un acquario, come in uno zoo umano da fotografare a distanza. Noi nel nostro piccolo cerchiamo un'integrazione che ci possa chiarire e spiegare quello che a prima vista sembra inspiegabile. Perciò, alcuni giorni avremo poco di spettacolare da raccontare; sono giorni che ci ritagliamo per andare in giro tra la gente, tra le loro case, attraversando pozze o arrampicandoci in bici, là, dove il "turista" non arriva, sia per il poco tempo a disposizione o per scelte diverse. Riteniamo che questa sia l'anima più intima del viaggio, quella che ti segna con immagini interiori e non da pellicola. Si potrebbe aprire un lungo discorso sull'essenza del viaggio, ma sono sicuro che mi mandereste tutti, o quasi tutti, a cag... (quel paese) 😂😂😂😂
OK, oltre questo, le giornate ci servono per organizzare il proseguo del viaggio. Dobbiamo prenotare bus, "albergo", treno, insomma tutto quello che serve per il proseguimento. È chiaro che per un periodo così lungo non si possa e non si voglia prenotare tutto prima. A casa si studia il territorio, l'itinerario di massima, documenti e visti, si prendono appunti, mentre quì, si passa ai fatti. Siamo "armati" di un tablet e due telefoni, da questi attrezzi, rete permettendo, dobbiamo organizzarci per gli spostamenti successivi. Poi ci sono le fotografie, il blog, la roba da lavare, i piacevoli scambi di opinioni tra me e Robi di fronte a un "ginger tea". A proposito qualcuno giustamente ci chiede cosa mangiamo noi e cosa e come si mangia qui. Beh, chiariamo una cosa: non si può morire di fame perché c'è di tutto. Ci sono market e quindi la possibilità di mangiare confezionato. Qui in Myanmar nella zona a sud di Mandalay esistono alcune catene di fast food nostrane, no McDonalds. A nord, invece non esistono proprio. Ci sono diversi ristorantini di cibo tailandese, molto piccante; cinese, molto buono e più fritto; birmano, poco piccante e pieno di verdure. Alimenti assolutamente sempre presenti sono il riso bianco, semplice, che sostituisce il nostro pane oppure elaborato, con verdure, pollo se non maiale, calamari o gamberi. Le uova, mai manchino; l'anatra, che qui allevano come noi le pecore e che fanno arrosto, è buonissima. Verdure di tutti i tipi, soprattutto cavoli. Mancano totalmente i legumi e i cereali, si trovano i fagioli ma non dappertutto. I pesci, arrosto o in umido, sono abbastanza saporiti. Dosano e usano perfettamente le spezie, il carry, il peperoncino e lo zenzero sono regine. Avocado, papaya, ananas, melone e anguria accompagnano i frutti esotici come il lichi, passion fruit e altri dai nomi strani. Molto apprezzate le arachidi e gli anacardi che usano mettere nei piatti tipici. Sgranocchiano pannocchie cotte a vapore o arrosto e vanno pazzi per i semi di girasole. Per quanto ci riguarda abbiamo la fortuna di non avere lo stomaco delicato e di non avere vizi ma tanta curiosità. Iniziamo con colazioni abbondanti perché stiamo in giro tutto il giorno e spesso saltiamo il pranzo. Uova, toast, burro, marmellata, pancake, succo di frutta fresca, te o caffè. Spesso negli alberghi in cui facciamo colazione, oltre a questi alimenti, ci sono pietanze composte vere e proprie: i noodles o il riso se non la zuppa con tanto di verdure e spezie, che ormai mangiamo normalmente. Se poi ci viene fame durante il pomeriggio, ci fermiamo nella bancarella di street food e ci facciamo guidare da olfatto e vista. A cena, di solito, scegliamo un "ristorantino" che ci ispira e mangiamo cibo locale. Noodles o riso con pollo o calamaro, anatra, pesce o zuppe con  "roba" galleggiante (verdure soprattutto)  tutto moto elaborato e davvero saporito, accompagnato da birra buonissima o raramente il vino perché non si trova spesso. L'acqua ai fiori. Due volte abbiamo assaggiato la pizza, "pizza", più per curiosità che per nostalgia. Qualche volta, ci strafoghiamo di arrosticini, molti li cucinano per strada. La formula è che tu scegli quelli che ti ispirano e loro li arrostiscono davanti a te, poi ti siedi in tavolini zozzi,  con la carta igienica al posto dei tovaglioli ed il gioco è fatto. Insomma non  manca niente soprattutto se si ha la capacità di adattarsi.
Di seguito il Link di un piccolo video che condensa i pochi giorni trascorsi in questo posto meraviglioso.

https://youtu.be/LTupEaznFbo


24 Gennaio 2019. Pindaya Caves.

Assolutamente da vedere.
Pindaya, a circa 90 Km da Nyaung Shwe verso nord-ovest c’è Pindaya, una cittadina molto carina famosa soprattutto per le sue grotte calcaree. Deciso di andare, chiediamo vari prezzi alle agenzie perché solo loro fanno il servizio e si può andare solo in macchina. Prezzo minimo 45.000 Kyat (circa 26 euro) per macchina, con autista, per due e per tutto il giorno. Ci siamo rivolti alla Lion Travel 2 ottima agenzia sulla strada principale, le agenzie stanno tutte qui. Ore 9.00 arriva l'autista: camicia, lungy, denti completamente sporchi di rosso perché è uso comune masticare il Betel, una foglia che stimola la secrezione salivare, ed è il motivo per cui

sputano spesso, che colora di porpora la bocca, anche in India è molto comune. Stecchino dietro l'orecchio e poi, è zoppo. Abbiamo capito perché ci hanno fatto lo sconto🙊🙈🙏, no dai scherzo, stupidata, nessuno sconto. Ci guardiamo e, ricordando l'autista sputacchione e l'autista droghino ci rimaneva il terzo, chissà cosa ci aspetta. Ci apre le portiere, sorpresa: la macchina, pulitissima fuori, dentro è un gioiello. Profumatissima, un confortevole copri sedile lindo ci aspetta. Lo stesso autista è, nonostante l'aspetto, pulitissimo e profumato. Come spesso accade, mai giudicare dall'apparenza. Un uomo di un'educazione e discrezione mai viste. Niente sputi, via lo stecchino dall'orecchio, niente musica o aria condizionata a manetta. Conduce la macchina con prudenza e ci lascia di stucco per la mania della pulizia. Ogni volta che scendiamo pulisce il cruscotto da polvere o altro, spolvera gli sportelli, insomma ci ha ricordato una cara amica che in Africa, dico in Africa, in mezzo alla savana e alle strade polverosissime, ogni volta che ci fermavamo per dormire, puliva e spolverava il fuoristrada (ciao Dolooo).
Tornando a lui, ci apre lo sportello ogni volta per farci rientrare in auto, più imbarazzante che cortese. Mi sembrava di stare all'America Bar Biffi di Cagliari (dedicata all'Amico Stefano e Yellow lovely friend, sanno di cosa stiamo parlando). Lasciamo le elucubrazioni sull'autista. All'uscita della nostra cittadina di attuale residenza, Nyaung Shwe, c'è un bellissimo monastero, tutto di legno inatrsiato, il Shwe Yan Bye Monastery.  Qui si insegnano e imparano le sacre scritture buddiste. La nostra fortuna ci fa capitare proprio mentre un gruppo di giovanissimi monaci recita a memoria gli antichi versi. Seduti in una sala rischiarata dal sole, tutti, all'unisono, recitano i sacri scritti. Ogni tanto il monaco docente si affaccia per redarguire con lo sguardo i più piccoli che, umanamente scazzatissimi, da essere davvero divertenti, ciondolano con la testa avanti e indietro e alzano il tono, della serie “e basta non di pozzu prusu”(= e basta maestro sono stanco). Ciao piccoli e grandi UOMINI, si riprende il cammino.La strada e’ tortuosa, ci sono molti lavori in corso e anche qui, a fianco agli uomini, molte donne a lavorare e caricare e scaricare pesi, catrame, ghiaia. Quasi tutti rigorosamente con infradito e Lungy, io non so come faranno a non inciampare! Altro sito da vistare, una Pagoda sulla roccia, che ricorda vagamente la Golden Rock, immersa nella natura, isolata nella campagna circostante,molto suggestiva. Ok, via, Pindaya ci aspetta.

Dopo circa un'ora e mezza arriviamo. Tassa d’ingesso alla cittadina 4500 Kyat o 5 dollari. Prima tappa il mercato, giro veloce e ricco di sorprese come ogni mercato offre. Dopo, arrivo

alla famosa grotta sacra: La Pindaya Cave. Gradini da fare ma noi prendiamo un ascensore esterno che ci mostra il panorama in tutto il suo splendore. Il nome Pindaya vuol dire ragno e dietro a questo si narrano diverse leggende. Comunque, alla fine il ragno mostruoso che viveva in queste grotte e teneva in ostaggio una o più principesse, venne ucciso con arco e frecce da un principe, ecco. All'ingresso, infatti, c'è la rappresentazione di questa
cattura con tanto di principe e ragno giganti. Ok, si arriva all'ingresso, per utilizzare la fotocamera 3000 Kyat, e va beneeee. Possiamo entrare?? WAUUUU, solo WAUU, non crediamo ai nostri occhi: una grotta strapiena di Buddha dorati sfavillanti da tutte le parti. Si dice c'è ne siano 8000 e siano tutte donazioni da devoti di tutto il mondo a partire dalla fine del 1700 ad oggi. Ci sono le targhe sotto a documentare la paternità del lascito. Ce ne sono anche italiane, una di un gruppo di Gubbio risalente al 2002. Si entra nell'anticamera, strabiliante, e si continua.
Meandri e corridoi tra Buddha di tutti i tipi e in tutte le posizioni. Si scende con gradini nel cuore profondo delle grotte: roba da matti, è indescrivibile. Tutto tappezzato dall’ oro scintillante dei Buddha, davvero mozzafiato. Siamo rimasti dentro un'ora e mezza. L'autista fuori ci aspetta, così come tutti gli altri della sua categoria. È ora di andare a pranzo ma prima scendiamo a vedere un laboratorio di ombrelli di carta. Fantastica e strabiliante esperienza. La parte della copertura è fatta di una specie di carta ricavata dalla corteccia dell’albero del gelso


che viene sminuzzata. Questa viene messa in ammollo per circa un mese poi ripresa e pestata su una pietra con dei martelli di legno e ridotta in poltiglia formando una specie di pasta molle che viene a sua volta ulteriormente diluita in acqua e frullata con una sorta di frusta. Alla fine si versa il contenuto in un'intelaiatura di stoffa immersa in acqua. Si aggiungono, fiori, foglie o qualsiasi elemento naturale decorativo per poi essere messo ad essiccare al sole. Insomma più complicato da descrivere che da fare. La cosa più impressionante è la
struttura del telaio, costruita con legno di gelso e bambù. Tutto fatto a mano, senza nessun attrezzo elettrico; un seghetto, una lama molto tagliente, una sorta di sgubbia per forare e un "tornio" realizzato con un tondo in legno fatto girate con un piede, veramente incredibile. La manualità e la precisione dell'artigiano ci ha lasciati di stucco. I costi sono elevatissimi ovviamente. Qui ci dicono che si producono massimo 20 ombrelli al giorno, per tutelare la salvaguardia del gelso. Stupiti e sempre più consapevoli che spesso l'abilità dell'uomo, posto di fronte alle necessità, diventi straordinaria, andiamo a pranzo in un ristorante sul lago, meraviglia per gli occhi. Si rientra. È pomeriggio inoltrato, la serata si conclude ricordando quante abbiamo visto e chiacchierando su quante cose dobbiamo imparare e quante ne abbiamo perse per strada, tra globalizzazione, progresso, tecnologia, social network e tanto, troppo, che a volte sembra davvero niente.

23 Gennaio 2018. Inle Lake, in barca.

Non si può venire a Inle senza addentrarsi nel lago. Sarà turistico, sarà troppo dentro le rotte classiche ma va fatto. In ogni dove troverete qualcuno che si avvicinerà per chiedervi se volete fare il giro in barca sul lago. Sono i locali che senza l'onere della commissione, che le agenzie hanno, ti fanno fare lo stesso percorso con le stesse caratteristiche. Per tutta la via principale sentirete in inglese birmaniano: you want boat?? volete barca? (qui l'ausiliare non esiste), quindi  agenzia o locali, a voi la scelta. Il prezzo si differenzia di poco. Esistono due tipologie di giro, uno più lungo dell'altro. Costo del tour classico corto dai 15.000 ai 18.000 kyat; il più lungo dai 20.000 ai 25.000.
Noi optiamo per aiutare le persone del posto senza oneri di agenzia. Veniamo avvicinati da una donna piccoletta (e dirlo io!) ma manager rampante che ci convince con la “forza della dolcezza”. Per 22.000 kyat (circa 13 euro) faremo il giro lungo, che toccherà diverse tappe, a partire dalle 9.00 del mattino fino al tramonto. Nella barca, solo per noi, ci sono i salvagente, le copertine (qui servono perché l'escursione termica è molto alta, dai 10 gradi la mattina e la sera ai 25/28 della giornata), ombrello per il sole, che quando vien fuori picchia. Via si va, puntualissimi, accompagnati da un barcaiolo molto giovane che non indossa il Lungy e ha le unghie smaltate di nero, cappellino e trassa (=attitudine) da fighetto. Lo scenario si presenta già
meraviglioso.Durante la traversata non incontriamo nessuno perché gli orari di partenza sono a libera scelta del cliente e molti partono in orari diversi. Prima tappa ai giardini galleggianti. Certo non si può dire che questo popolo non sfrutti tutto quello che possiede, fa come si fa con il maiale, non si butta via niente. C’è troppa acqua in giro? Allora coltiviamo sull'acqua! Ecco allora piantagioni di pomodori e ortaggi vari radicati in acqua. La strana sensazione di vedere i filari di coltivazioni muoversi come l'onda ci lascia sbigottiti. Il lago poi è limpidissimo, si vede il fondale e tantissime piante emergere o appena sotto il pelo
dell'acqua, motivo per cui si naviga con l'elica quasi del tutto fuori. Continuando la navigazione tra persone che coltivano con le barchette e palafitte con tanto di parabole satellitari, ci inoltriamo nella parte più larga. Eccoli, i famosi pescatori birmani, gli equilibristi del mare. Stanno in piedi a prua e con una tecnica molto particolare pescano e si muovono remando con una gamba. Pazzeschi! A  volte infilano una grossa nassa fino al fondale (circa 2 metri) tenendola giù col piede mentre con le braccia, accosciati, infilano una fiocina al centro della
nassa cercando di fiocinare più pesci possibile. Sono forti ed equilibristi tanto che neanche il miglior funanbolo potrebbe competere con loro. Ci sono anche quelli “social”, con i tipici abiti (pantalone largo, camicia e cappellino cinese) che si fanno fotografare, quasi sempre a pagamento, come la Fedez/Ferragni. Comunque fantastici, i pescatori!
Lasciamo gli equilibristi per inoltrarci
ancora. Intorno, scorci di villaggi che vivono sull'acqua. L'abitudine di usare il lago per ogni necessità è palese; c'è chi si lava, qui si lavano in continuazione, chi lava i panni, chi si sposta da una palafitte all'altra, insomma in simbiosi con  esso. Ci inoltriamo in un canale molto lungo e controcorrente, per arrivare alle Dein Stupas. Sono i resti di antichi Stupa/Pagode così vicine l'una all'altra da creare quasi un villaggio sacro. In
ogni Stupa ci sono uno o più Buddha. La natura qui ha avuto il sopravvento, si è ripresa i suoi spazi. Alberi che intrecciano e usano gli Stupa per insinuare le loro radici ed espandere le loro ramificazioni; sterpaglie, cespugli e piante decorano l'intero paesaggio, una micro Bagan.
Da qui si va ancora più a sud a “In Phaw Kone”. Ci aspetta una grande scoperta: la lavorazione del gambo del fiore di Loto per estrarne una fibra vegetale da usare come filo in tessitura. Non ci ricordiamo quante migliaia di steli necessitano per produrre qualche metro di filo ma ci ricordiamo bene la bellezza e la resistenza dei manufatti nonché il prezzo: una sciarpa tipo pashmina circa 130 dollari. Sosta in ristorante e via verso gli artigiani del legno, nonché delle imbarcazioni tradizionali. Ci viene spiegato che la lavorazione è esclusivamente manuale e per avere un'imbarcazione finita di 10 metri occorre circa un mese di lavoro per 4
uomini. Continuiamo il viaggio tra laboratori di argenteria e di sigari, qui molto apprezzati.
Barca barca ci spostiamo per  vedere le tessitrici Pa Daung, le donne giraffa. Appartengano ad un'etnia di antiche origini che, per motivi di conflitti interni al paese, si sono rifugiate nei confini tra Thailandia e Myanmar vivendo nella perenna incertezza. Quelle che abbiamo visto noi, poche per fortuna, tessevano e facevano bella mostra di sé per i turisti curiosi e spesso paganti. Hanno un collare di anelli in ottone che mettono all'età di 9 anni per poi cambiarlo a 19 con uno sempre più lungo, con più anelli, per finire ai 25 con il massimo degli anelli per un peso di 20 kg finali. Ne hanno anche sotto le ginocchia di circa 2 chili ognuno. Tutto per retaggi culturali di antiche credenze sulla protezione contro l’attacco delle tigri. La tristezza infinita che mi provoca questa tortura mi lascia senza parole.
Continuando il traghettamento, Caronte ci porta a vedere il monastero Nga Hpe Kyaung, che ricalca lo stile dei precedenti, per poi riprendere la navigazione verso nord. In mezzo al lago, proprio al centro, è presente un monastero di minor bellezza e minor interesse, spesso tappa
per il tramonto, ma noi preferiamo stare nel bel mezzo, in barca. Così aspettiamo il nuovo calar del sole, tra pescatori e piante affioranti. Surreale da quant'è bello. Al rientro con un po di freddino, ci aspetta il molo, la gente che va e viene e la cena.
Finiamo in un ristorantino cinese, chiamato Live Dim Sum House, che raccomandiamo vivamente. La cosa però divertente (questa è per mia Gnata Stelli) è che abbiamo voluto provare un dessert che si chiama palle al sesamo (Sesamo Balls) che c'è pure da noi, nei ristoranti cinesi, ma noi non conoscevamo. Polpette bianche di pasta, tipo pane, con un cuore di cremina nera dolciastra. Non vi dico la faccia quando abbiamo dato il primo morso. Erano quattro enormi polpette tanto perfette e belle quanto orribili, penso che la cacca fritta sia simile. Io con coraggio ho cercato di mandarne giù una, Gigi un'altra. Si attaccavano al lavoro del nostro dentista e non riuscivamo ad ingoiarle. Non volendo sputarle, giù di colpo. Ci stavamo stramazzando di risate a lacrime perché non sapevamo come fare con le altre due. Dopo aver chiesto a Gigi se voleva aggiungerne una alle sue, con nonchalance me le sono infilate nella tasca del giubbotto. All'uscita ridendo come scemi, tanto che il titolare rideva con noi, senza sapere che gliele avrei “scuttasa tipu perda” (=le avrei rimandate indietro con cortesia) le abbiamo date ai cani intorno. Dopo due giorni sono ancora lì , intatte; neanche i topi le vogliono

22 Gennaio 2019. Inle Lake, in bici a spasso per il villaggio.

Buongiorno da Nyaung Shwe.
Oggi abbiamo deciso di conoscere meglio questo paese.
Recuperata un po di energia dal viaggio di ieri, usciamo a piedi.
Prima tappa, mercatino locale. Un esplosione di colori, frutta e verdura di ogni tipo e colore, il folclore  dei venditori è tutto un programma. Il dito indice della mano destra impazzisce, ormai vive di vita propria, scattando cento, che dico cento, mille fotogrammi al secondo. È un esplosione di vitalità. Mille cose curiose, dal vestiario agli attrezzi che per noi sono diventati antiquariato; le bilance sono quasi tutte "stadere" romane; le sarte usano macchine da cucire a pedale "Singer" e così via. Un tuffo nel nostro passato. Rivedo mia nonna che usava, appunto, quegli arnesi. 
Le donne sono il cardine portante di questo modello sociale, non stanno dietro a nessuno. Se si volesse un modello di parità sociale qui è di casa. Fanno qualsiasi mestiere, eccetto le prostitute. Le trovi a fare intonaco, a portare pietre dentro ceste di bambù intrecciato e militari permettendo, persino al governo.
Decidiamo di affittare due biciclette, 3000 Kyiat (poco meno di due euro), da rendere la sera. Così inizia il nostro giro che costeggia la parte occidentale del lago. Visitiamo villaggi costruiti in prossimità dello stesso. Alcune abitazioni sono vere e proprie palafitte, altre sono sulla terraferma e certamente non si fanno mancare un orticello ricavato da un fazzoletto di terra rubato al lago. Gli abitanti sono operosi e li vedi zappare, arare, tagliare canna da zucchero o portare sulla testa carichi di tronchi di legno. Questi lavori sono per tutti, senza distinzione di sesso o età. Chiaramente non mancano pagode e templi.
Siamo fortunati, passiamo in un campetto sterrato e ci incuriosisce la quantità di persone assemblate, sta per iniziare una partita di calcio a 7, anche qui è seguitissimo. Le squadre sono schierate, a noi sembra ridicolo pensare che sappiano giocare a calcio. La partita inizia, bastano pochi minuti per renderci conto che il pallone lo sanno usare, sono bravissimi e il pubblico è accanito. Tra un' ovazione e una sputacchiata decidiamo di abbandonare la partita, bella esperienza.
Di lì a poco ci imbarchiamo, biciclette
comprese, in una imbarcazione locale che ci porterà dall'altra sponda del lago. Si parte da Khaung Dine Village e si arriva dopo circa 20 minuti al molo di Maing Thauk Village il tutto per 6000 Kyiat (circa 3.50 euro).  Gli scafi locali sono esageratamente lunghi, la cosa curiosa sono i motori: accensione a manovella, tipo auto del 1800, con un volano esterno molto grosso e il solito "albero" per l'elica lunghissimo. Navigano con l'elica quasi in superficie lasciando lunghe scie e zampilli d'acqua.
Assistiamo a una battuta di pesca dove i
pescatori, una decina di barche, battono dei lunghi bastoni in acqua per convogliare i pesci verso le reti. Il lago offre scenari bellissimi. Già ci pregustiamo l'escursione di un intera giornata (sul lago) prenotata per domani. Sbarchiamo in un molo di legno circondato da palafitte. Siamo a Maing Thauk  un villaggio costruito sulla sponda del lago con le case sull'acqua, una Venezia sui generis. L'ambiente è veramente singolare, i locali che per qualche ora al giorno convivono con il turista, facendo in modo che tutto rimanga in armonia con l'ambiente circostante. Cerchiamo un ristorantino/palafitta e in questo ambiente lacustre consumiamo il nostro pranzo.
È giunta l'ora di riprendere la bici e prendere la via del ritorno. Potrei raccontare mille curiosità sulle usanze e modi di vita di questi posti, ma mi dilungherei oltremodo, però due parole le voglio spendere per rendere omaggio alle donne del posto, alle Birmane in generale. Fiere del loro essere, giovani o anziane, non si fermano di fronte a nulla. Non esistono mestieri pesanti non adatti a loro, le abbiamo viste fare di tutto: portare carichi pesanti, asfaltare strade, fare il pastore, il pescatore o il muratore, al pari e, spesso insieme, agli uomini, 
avendone tutto il rispetto da parte loro per poi continuare a essere madri e mogli, mantenendo tutta la femminilità e dolcezza che le contraddistingue.
Ma torniamo a noi, strada facendo incontriamo un posto curiosissimo, con all'esterno decine di biciclette di tutti i colori e appese da tutte le parti che rendevano il tutto molto intrigante. Foto di rito "I love Inle Lake", quindi veniamo invitati da una ragazzina carinissima  a salire di sopra per vedere il locale all'interno. Uno stanzone arredato in modo bizzarro , particolare, ma di buon gusto, molto colorato e accogliente, artistico direi. Si tratta di una caffetteria e guesthouse  specializzato soprattutto in caffè. Le ragazze, gentilissime, che lo gestiscono, ci propongono un caffè americano fatto con chicchi appena macinati e non il solito "nescafe". Il caffè è buonissimo e fragrante è accompagnato da dolcetti e biscotti più bottiglietta d'acqua in omaggio (5000 Kyat ovvero 3 euro tutto incluso), se passate in zona ve lo consiglio,  si chiama Mot & Moi e si trova nella strada che riporta a Nyaung Shwe .
Si riparte, continuiamo ancora per qualche chilometro e ai nostri occhi appare l'indicazione che tutto il giorno avevamo sperato di trovare: Red Mountain Estate Winery. Potevamo privarcene? Giammai. E una cantina, vineria, ristorante con un panorama mozzafiato. Non vi dico per arrivarci: due chilometri di salita con pendenze micidiali e una bicicletta da passeggio con soli tre rapporti. Ho dovuto
disturbare il mio orgoglio da ciclista per salire su, senza smontare, il cuore a mille e la lingua fuori un palmo; siamo su. È una rarità vedere vigne in Myanmar, ancor di più poter degustare vino locale. Scegliamo il "menù " degustazione e per 5000 Kyat (circa 3 euro) ci portano quattro vini, due bianchi e due rossi e aspettiamo il tramonto affacciati ai bellissimi vigneti e al lago. Il Sole è sceso e scendiamo pure noi con la nostra bici, è ora di tornare in hotel.
Domani ci aspetta una bella gita in barca.
Buonanotte

21 Gennaio 2019. Da Mandalay a Nyaung Shwe

Eccoci pronti per un nuovo trasferimento.
Lasciamo Mandalay per raggiungere Nyaung Shwe sul lago Inle.
Salutiamo Mandalay, la città dissonante, alle 9 del mattino. Un taxi tuc tuc ci porta  alla stazione dei bus; è nei pressi dell'aeroporto, si chiama Chan Mya Shwe Pyi Bus Station. Avevamo acquistato i biglietti online tramite "Bookaway" per la cifra di 13$ a testa. Arrivati, con un buon anticipo, prendiamo posto sul bus e alle 9 puntuali si parte. la compagnia di trasporto è la JJExpress, bus comodissimi con tutti i confort. Il primo tratto di strada, 140 Km, sino a Meiktila, scorre liscio come l'olio, ci scappa pure il pisolino. Da lì in poi cominciamo a salire per tornanti paurosi su una strada strettissima in fase di ristrutturazione. Il paesaggio è spettacolare, nella prima parte la vegetazione è foltissima su delle colline calcaree, poi prendono il sopravvento i bananeti per lasciare infine il posto ai pini. La velocità media è di 30, 35 Km/h, non finisce più. Si sale fino a Aungpan, 1300 m circa, per poi scendere fino a 930 m. Con un paio di soste "tecniche" arriviamo, Totale viaggio 9 ore.
Siamo stanchini, giretto del paese, doccia, si cena e a nanna, buonanotte.

20 Gennaio 2019. Mandalay, arrivederci.

Arrivederci Mandalay.
Grande città caotica, con baracche e centri commerciali, miriadi di scooter, tuk tuk e taxi. Dove non puoi perderti mai perché le strade sono ortogonali e sono numerate progressivamente. Dove è meglio camminare sulla strada, rischiando di essere travolto da qualche macchina, piuttosto che nei "marciapiedi", sempre occupati da qualcosa o qualcuno, divelti, spaccati, aperti sul cuore delle fogne. Dove ci sono negozi di calzature (compreso tacco 12 con plateau) e tutti portano le infradito e poi, dove camminierebbero?Dove imperversano le grandi gioiellerie e i laboratori orafi ma la gente sopravvive a stento.
Ma anche dove trovi sì tanta bellezza: Clicca sul Link rosso

⇛   https://youtu.be/facSlzt8jP0   ⇚



P.S. (per non dimenticare) SULLA LAVORAZIONE DELL'ORO:
Avendo saputo che ci sono tanti laboratori orafi, non disdegnamo di visitarne almeno uno per vedere da vicino come lavorano questo metallo. Come era successo quando siamo stati nel laboratorio della lacca a New Bagan, anche qui abbiamo trovato, all'interno, una persona addetta alla spiegazione degli steps di lavorazione per la laminazione sottile. Ovviamente il tutto è sempre gratis. Il laboratorio si chiama KING GALON GOLDEN LEAF WORKSHOP. Ci sono diversi ragazzi che battono con un grosso martello, di 3 kg di peso, un "sandwich" multistrato in cui si alternano fogli di carta di bambù e piccole porzioni di metallo da assotigliare. Il tutto avvolto da un pezzo di pelle. Questo pacchetto, di circa cm 20 x 20, viene battuto per un'ora e mezzo per avere un primo assottigliamento. La lamina ricavata viene a sua volta divisa in sei parti e ognuna di queste, rimesse tra fogli di carta di bambù, per essere prestati nuovamente per un'altra ora è meMezza. Questi steps si susseguono con la relativa suddivisione e rimpacchettamento, fino a ricavare una lamina di spessore micrometrico, detto foglia d'oro, base per oggettistica o prodotto finito per i devoti buddisti che spesso lo attaccano alle effigi sacre come ex voto. Ma la cosa che ci ha stupito di più è la lavorazione del bambù per ricavarne la carta sottilissima, resistente e perfetta, senza alcuna imperfezione, utilizzata per confezionare il "sandwich" di cui sopra. Questa viene realizzata mettendo al macero in acqua per 3 ANNI, 3 ANNI, julienne di bambù. Dopo questo processo di assorbimento, viene fatto asciugare e se ne ricava una sorta di pagliuzza. Questa, a sua volta, viene fatta bollire è ridotta ad una pasta uguale alla plastilina, di color marroncino. Questa, a sua volta, viene diluita fino a ricavarne una brodaglia che viene stesa in vaschette di m. 1 x 1 e lasciata essiccare, ricavandone un foglio sottilissimo di color marroncino opaco. Ridotto in fogli di circa cm 20 x 20, inizia un processo di pestaggio anche di questi, fino a farli diventare traslucidi e senza imperfezioni.