"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"
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27 febbraio 2019. da Pakse a Don Khon

Ore 7.00 sveglia. Dopo colazione e check-out hotel, si riparte. Strano
ma vero, il tuk tuk arriva puntualmente alle 8.10. Dobbiamo essere alla stazione bus entro le 8.30.  Durante il tragitto di qualche km carichiamo altre 4 persone con relativo bagaglio. Fortunatamente arriviamo puntuali per la partenza delle 8.30 in bus. Si parte. Solita storia, l'autista si ferma per una commissione in un negozio di dolciumi e poi riparte. Dopo un'ora, altro stop; sarebbe lo stop di cortesia per far fare  i bisogni e le compere ai turisti trasportati ma non ci illudiamo; si è fermato per 10 minuti con questa scusa ma in realtà doveva scaricare ciò che aveva comprato nel negozio di dolciumi di prima, scatole di qualcosa che aveva stipato nel portabagagli. Comunque, meno male che il punto di imbarco per le isole, Ban Nakasong, è vicino. Solo due ore di bus e ci siamo. È un piccolo
villaggio  il cui molo è punto di arrivo e partenza da e per le isole. Le 4000 isole, in realtà, sono un arcipelago che si chiama Si Phan Don e se anche non è composto da 4000 isole, sono comunque tante.  Il fiume Makong si dirama tra esse e quando è in piena ne sommerge tante. Alcune ne sono esenti e sono stabilmente abitate. In esse ci sono villaggi e scuole ma anche molti resort e attività ricettive e ricreative. Le tre
isole più rinomate, perché più attrezzate di tutto, sono: Don Khong, Don Det e Don Khone, dove prendiamo alloggio noi. La prima è la più grande, si parla di 18 km per 8, ed è anche la più tranquilla, fin troppo. Si dice non ci sia quasi niente se non qualche bungalows e locande ristorante. La seconda è di fronte alla nostra, sono dirimpettaie e collegate da un ponte. Si dice sia la più mondana e "hippie", dove vanno soprattutto i giovani a "" rilassarsi"". La nostra, Don Khone, è una via di mezzo. Da qui si organizzano diverse escursioni e ci sono zone più o meno frequentate. Don Khone (Khon) è ben organizzata e accogliente. Ovviamente i resort, guesthouse e alberghetti sono bungalow di legno o strutture in muratura abbastanza spartane ma molto confortevoli. 
Quasi tutte si affacciano sul fiume, dove la visuale è incantevole. Le stradine interne sono sabbiose e sterrate. Ci sono due scuole e diversi abitanti residenti. Biciclette e motorini non mancano mai. La cosa più divertente è vedere i bambini guidare gli scooter; 125 cc condotti con nonchalance da piccolini, più o meno di dieci anni. Qui, come in tutte le zone da noi toccate, il motorino non è una conquista o un premio ambito, è semplicemente il mezzo per spostarsi, fare commissioni o andare a scuola. Purtroppo l'inquinamento è dilagante ma è un capitolo troppo complesso da toccare. Ma stiamo in tema isola:  ci piace questo posto qua.
Unico "neo" il mio amatissimo caldo; mai chiederò il divorzio, dovessi boccheggiare e morire bollita, però, è davvero quasi al limite di sopportazione, soprattutto perché non c'è il mare dove potersi refrigerare, motivo per cui si trovano  diverse piscine, da noi spesso disdegnate prima d'ora. Nel fiume è meglio evitare di mettere un piede, non è proprio invitante, è marrone. Per giusta informazione, per questo tragitto, dall'hotel di Pakse all'isola, tutto compreso, quindi anche barca dal molo di Nakasong a Don Khone, abbiamo speso 65.000 Kips a testa (6.50 euro) e impiegato 2 ore e mezza. La sera, dopo aver visto come organizzarsi per le prossime giornate, ceniamo in uno dei tanti ristorantini, ma la sorpresa è che c'è un ristorantino indiano, indiano, indiano! Noi adoriamo la cucina indiana e ci tuffiamo dentro. Io prendo un menù vegetariano (troppa carne fin'ora), Gigi il "carniano"😂. Chi conosce la cucina indiana sa di cosa parlo, troppo buona. Alle 21.00 siamo già rientrati dell'alloggio. Qui non si fa vita mondana. La fanno le zanzare per noi, purtroppo la malaria è in agguato. Speriamo bene😐

N.B. SULLE ISOLE NON CI SONO ATM. POTETE PRELEVARE SOLO A BAN NAKASONG!!!!

6/7 Febbraio 2019. da Chiang Rai a Nong Khiaw


Se finora è stata una passeggiata ora inizia l’avventura: il Loas.
Da Chiang Rai passando da Luang Namta per Nong Khiaw.
Due giorni massacranti che congiungiamo per praticità. Le visite ai luoghi di interesse si riducono a zero. Però per chi ha il piacere di viaggiare e sa vedere, coglie differenze di luoghi, costumi, fisiognomica, anche dal finestrino di un minivan.
Ma partiamo dall'inizio. Arriviamo alla Bus Terminal 1 di Chiang Rai, siamo ancora in Thailandia. Ad attenderci il “bus” che ci porterà a Chiang Kong, frontiera con il Laos. I bus partono ogni mezz'ora, prezzo della corsa 20 Bath (circa 50 centesimi di euro) per percorrere 61Km in 2 ore e mezzo. Allucinante, siamo solo all'inizio. Perché bus tra virgolette, perché definire bus il mezzo che abbiamo preso è offendere tutta la categoria dei bus. Tanto per cominciare l'autista decide, in tutta autonomia, che si viaggia con le porte aperte, ma non solo, pure i finestrini anteriori, lato autista e opposto, sono aperti. Un freddo che non vi dico. La mattina e la sera qui ci sono circa 12 gradi se non meno, immaginate alle 7 del mattino con i finestrini e porte aperti. Gli chiediamo di chiudere la
porta anteriore e lui ridacchiando lo fa, tanto tutto il resto è aperto. Pensate che faccia così perché non ha freddo?? che anche gli altri passeggeri , tutta gente del posto, non patiscano il freddo? no, non è così. La gente che sale e scende è coperta fino al collo e lo stesso autista ha giubbotto, cappello e mano in tasca quando non gli serve per inserire le marce, a proposito, la leva delle marce è tutto un programma; distante un metro dall'autista una leva lunga che sembra staccarsi da un momento all'altro. Comunque superata la gelata, vi assicuro che ci sembrava di stare dentro una cella frigo per due ore, arriviamo alla
stazione di frontiera. Da quì, una motocicletta cassonata ci aspetta per trasportarci alla border line attraversando il famoso ponte dell'amicizia “Fourth Thai-Lao Frienship Bridge” che scavalca il magnifico Mekong. Costo 20 Bht a testa e ce ne sono a rotazione. Arriviamo in frontiera. C'è già un po di fila ma sembrano veloci. Dobbiamo compilare 2 moduli, quindi chi dovesse essere lì, li prenda prima e poi, magari in fila, li compili. Uno è lungo e somiglia ad un conto corrente postale, l'altro è la richiesta di visto in diverse
parti. Arrivati al front office, troverete un paio di ufficiali che chiacchierano e prendono i due moduli, una foto tessera (qualunque dimensione va bene), passaporto e 35 dollari americani a testa. Sbirciando velocemente il passaporto, prendono i moduli compilati senza controllare niente e ti fanno passare affianco. Altro ufficio che timbra il passaporto e te lo restituisce...bohhh!. Comunque veloci per fortuna. Siamo dall'altra parte. Ciao bellissima Thailandia, di nuovo Kabpkun, grazie di tutto. Sono le 10.30 e siamo in Loas, esattamente a Vieng Mai. Cambia la lingua, la gente, il senso di marcia su strada e la moneta: Kip laotiano, 10.000 Kip=1 euro (cambio attuale), oi oi la testa. OK torniamo al viaggio; dalla frontiera ci
dobbiamo spostare verso Bokeo per l'omonima  stazione degli “autobus”. Iniziamo subito a scoprire come sono i laotiani: non si presentano proprio bene. Facciamo il biglietto che costa 50.000 Kip (circa 5 euro) per due. A parte il fatto che non sanno una, dico, una parola di inglese, molto peggio dei birmani, non riescono ad interpretare neppure i gesti più semplici, compreso il segno di ore nell'orologio. Ridono o ti mandano a quel paese. Non sono assolutamente accoglienti né sorridenti. Con il biglietto in mano, senza sapere esattamente da chi andare, chiediamo ad un autista se è lui che ci porterà a Bokeo, stazione bus. Lui guarda il biglietto se lo porta via e ci fa cenno di  salire sul furgoncino già strapieno di turisti. Moltissimi francesi o comunque parlanti francese e qualcuno parlante inglese. Caricati gli zaini e noi, si va. E dove ci porta questo imbecille? al molo!! da dove partono quasi tutti i turisti per percorrere il Mekong in direzioni diverse ma comunque verso sud, tagliando molte delle tappe che invece vorremmo fare noi. Scendono tutti e l'autista porta giù anche i nostri zaini, noi lo guardiamo e gli facciamo cenni MOOOLTO esaustivi sul fatto che ha sbagliato e che noi abbiamo detto Stazione BUS, allora lui, che ha capito esattamente di aver sbagliato, non scusandosi né rimediando in nessun modo, ci dice di dargli i biglietti, quelli che ci aveva preso lui per farci salire sul camioncino. Noi con abbastanza veemenza, direi incazzo, gli diciamo che li ha presi lui e li ha lui. Lui fa no con la testa e con le mani, entra incavolato nel camioncino e se ne va. Ci lascia lì come due scemi, incavolati come belve.
Vabbè non possiamo perderci d'animo non possiamo far niente, purtroppo. Risolviamo con un altro tuk tuk e qualche euro in più. Siamo a Bokeo, 12:30, si parte, prezzo del biglietto 60.000 Kip a testa (6 euro), per la cronaca, c’è un’altra corsa alle 9 del mattino, per noi impensabile da prendere . Stavolta chi ci trasporta è un minivan, anche questo pieno in ogni ordine di posto. Il minivan conterrà forse tredici posti, ma l'autista  riempie pure i due posti affianco a lui. Si riparte, i chilometri da percorrere sono circa 190, sembrano pochi, ma con le strade piene di fossi, alcuni tratti sterrati, altri con lavori in corso e ancora tornanti ripidissimi, dove il minivan arranca a venti all'ora, il risultato è una
media di percorrenza di 40 Km orari. Il viaggio diventa lunghissimo. Il minivan è scomodissimo, siamo strettissimi in sedili minuscoli e la testa che barcolla a destra e a
sinistra. Per fortuna c’è un paesaggio bellissimo, foresta da entrambi le parti della strada, straordinario. La stanchezza ci assale e la testa inizia a ciondolare, la schiena reclama e il di dietro pure. Alle quattro siamo a destinazione. Siamo stremati, attorno alla stazione dei bus, dove è tutto su sterrato, quattro case, quattro baracche, due distributori di benzina e due bancomat, di cui uno fuori servizio; benvenuti a Luang Namtha Bus Station. Ci guardiamo intorno sconfortati, il Laos non è sicuramente un paese che accoglie il turista a braccia aperte, almeno per ora. Proviamo a chiedere qualche informazione, le uniche cose che sanno dire in inglese sono i prezzi dei tuk tuk, per il resto zero assoluto. Addirittura un ragazzo, grandicello, e' scappato; saremo mica così brutti !? Dobbiamo trovare dove dormire, possibilmente vicino alla stazione dei bus, perché domani mattina vorremmo andare via da qui. Un cartello di fronte: “Guesthouse”. Entriamo e chiediamo ad una specie di orso con felpone e cappuccio il prezzo e visione della camera. Lui al primo “Hello” tira fuori un cartello con scritto in inglese: room 1 day Kip 70.000. Ok vediamola: è squallida, il bagno fa schifo ma il letto sembra decente, per una notte potrebbe andare (prezzo 70000 Kip = 7 euro circa). Depositiamo i bagagli e andiamo a cercare qualcosa da mangiare, abbiamo mangiato solamente una banana e qualche wafer in tutto il giorno, siamo affamati. Lo sconforto sale di più, ci sono tre baracche all'aperto con una temperatura che la sera necessita di piumino. Pensare di mangiare all'aperto ci angoscia ma guardiamo cosa
propongono i “menù”. Due con menù incomprensibili, nel terzo ci disgusta la visione della carne verdognola e lasciamo perdere. Risultato, compriamo, nella stessa guesthouse di alloggio, due barattoli di noodles, quelli che si vendono anche nei nostri supermercati, li riempiamo di acqua calda e li mangiamo in camera, ci sembrano la miglior cosa (comunque sono davvero mangiabili). Un'altra sorpresa l'abbiamo avuta quando ci siamo seduti sul letto per mangiare la “cena”; non c’è materasso! solo un tavolato con una coperta sopra e un lenzuolo, è durissimo, si sono fatte le sette di sera, la camera è freddissima e non esiste riscaldamento. Senza neanche il coraggio di lavarci, alle 20.00 siamo a letto vestiti, Roberta addirittura con il piumino.  Buonanotte, si fa per dire…..passerà.
La mattina alle 6.30 siamo già svegli e dolenti, usciamo quasi subito per fare i biglietti per l'altro transfert che ci aspetta, quello per Nong Khiaw, dove ci si può probabilmente rilassare un pochino tra affluenti del Mekong, grotte e foresta.
C'è tanta nebbia e la temperatura è davvero bassa. FRIUSUUU. Qui c'è una notevole escursione termica tra giorno e notte.
Ovviamente la nostra colazione sarà un caffè americano, grazie alle scorte di bustine di nescafe’ che abbiamo sempre con noi e all'acqua calda del bollitore della guesthouse. Fatti i biglietti, siamo i primi. Costo 100.000 kip a testa (tot. 20 euro). Partiamo alle 9.00, unica
partenza giornaliera. Anche qui un minivan, più confortevole del precedente ma pur sempre piccolino e le ore di viaggio dovrebbero essere sei. Puntuale ma sovraccarico di turisti, parte alle 9.00. Il viaggio comprende diverse soste: dopo due ore per toilette; dopo altre due per mezz'ora di pranzo e poi diverse fermate che fa l’autista per sue esigenze o semplicemente per dare passaggi ad alcuni suoi conterranei tra i villaggi. Quando ci fermiamo per il pranzo, idem come ieri, due baracche polverose in cui c'era solo roba incomprensibile, già cotta oppure sulla brace. Noi, affamati come siamo,
non disdegnano del pollo alla brace e del fegato su spiedini, non sappiamo di che animale, né vogliamo saperlo. Era buono. Con le mani sporche, toccando soldi e qualunque altra cosa (qui non ci sono i lavandini con bagno e sapone, al massimo un bagno turco e stop) mangiamo e facciamo finta che quella carne non sia quella verde che vediamo sempre nei mercati; chissà l'aviaria o altro se sono in agguato. Un po’ di carta igienica per pulirsi, spesso si usa così, già visto da altre parti, e si mangia. Pazienza, ormai è fatta. Comunque, tornando al trasferimento, alla fine, dopo circa sette ore, arriviamo
a destinazione. Il nostro alloggio è molto carino, sta sul fiume Nam Ou, un affluente del Mekong. La visuale panoramica dal balcone è meravigliosa e ci appaga di tutto il disagio del viaggio. Ma indovinate cosa facciamo subito??? una mega doccia interminabile. Stanchi ma ristorati, andiamo a mangiare qui vicino. Non c'è praticamente niente. Poche case due localini/baracca. Oggi mangiamo dove si dice che si mangi molto bene: Mama Laos. Ci accoglie una ragazzina che si spaventa quando chiediamo il menù e scappa dicendo “no english”. Intravediamo all'interno della casa/cucina una signora anziana (forse la cuoca), sdraiata su un materasso, avvolta da coperte, che guarda la tv; ci fa cenno di
sederci fuori e aspettare. Ok, aspettiamo. Dei francesi molto carini ci dicono che questo è l'andazzo normale ma che vale la pena aspettare perché la cucina è buonissima. I tavoli sono rigorosamente di plastica, con tovaglia di plastica insudiciata, le posate dentro un contenitore alla mercé di ogni cosa, salse e salsine aperte e salviette di carta per pulirsi, come in ogni baracca che si rispetti, sempre così anche in Myanmar e nelle baracche su strada in Thailandia . Arriva una ragazza molto carina che parla un pochino di inglese e riusciamo a farci portare tre pietanze: una tipica del Laos, una con germogli di bambù carne e verdure e l'altra solo di verdure cotte che qui come in Birmania definiscono “fried”, fritte, ma sono spadellate. Il piatto laotiano era una zuppa di noodles laotiani, praticamente spaghettini di riso, verdure e carne, un brodo buonissimo così come tutto il resto e siccome la temperatura è scesa, ci sta proprio bene. Spesa “cena” 50.000 Kip (5 euro) compresa birra “Laosbeer”, buona, buona, buona. Ok stop, rientriamo in alloggio, nella camera confortevole e pronta ad accoglierci per la nanna.

22 Gennaio 2019. Inle Lake, in bici a spasso per il villaggio.

Buongiorno da Nyaung Shwe.
Oggi abbiamo deciso di conoscere meglio questo paese.
Recuperata un po di energia dal viaggio di ieri, usciamo a piedi.
Prima tappa, mercatino locale. Un esplosione di colori, frutta e verdura di ogni tipo e colore, il folclore  dei venditori è tutto un programma. Il dito indice della mano destra impazzisce, ormai vive di vita propria, scattando cento, che dico cento, mille fotogrammi al secondo. È un esplosione di vitalità. Mille cose curiose, dal vestiario agli attrezzi che per noi sono diventati antiquariato; le bilance sono quasi tutte "stadere" romane; le sarte usano macchine da cucire a pedale "Singer" e così via. Un tuffo nel nostro passato. Rivedo mia nonna che usava, appunto, quegli arnesi. 
Le donne sono il cardine portante di questo modello sociale, non stanno dietro a nessuno. Se si volesse un modello di parità sociale qui è di casa. Fanno qualsiasi mestiere, eccetto le prostitute. Le trovi a fare intonaco, a portare pietre dentro ceste di bambù intrecciato e militari permettendo, persino al governo.
Decidiamo di affittare due biciclette, 3000 Kyiat (poco meno di due euro), da rendere la sera. Così inizia il nostro giro che costeggia la parte occidentale del lago. Visitiamo villaggi costruiti in prossimità dello stesso. Alcune abitazioni sono vere e proprie palafitte, altre sono sulla terraferma e certamente non si fanno mancare un orticello ricavato da un fazzoletto di terra rubato al lago. Gli abitanti sono operosi e li vedi zappare, arare, tagliare canna da zucchero o portare sulla testa carichi di tronchi di legno. Questi lavori sono per tutti, senza distinzione di sesso o età. Chiaramente non mancano pagode e templi.
Siamo fortunati, passiamo in un campetto sterrato e ci incuriosisce la quantità di persone assemblate, sta per iniziare una partita di calcio a 7, anche qui è seguitissimo. Le squadre sono schierate, a noi sembra ridicolo pensare che sappiano giocare a calcio. La partita inizia, bastano pochi minuti per renderci conto che il pallone lo sanno usare, sono bravissimi e il pubblico è accanito. Tra un' ovazione e una sputacchiata decidiamo di abbandonare la partita, bella esperienza.
Di lì a poco ci imbarchiamo, biciclette
comprese, in una imbarcazione locale che ci porterà dall'altra sponda del lago. Si parte da Khaung Dine Village e si arriva dopo circa 20 minuti al molo di Maing Thauk Village il tutto per 6000 Kyiat (circa 3.50 euro).  Gli scafi locali sono esageratamente lunghi, la cosa curiosa sono i motori: accensione a manovella, tipo auto del 1800, con un volano esterno molto grosso e il solito "albero" per l'elica lunghissimo. Navigano con l'elica quasi in superficie lasciando lunghe scie e zampilli d'acqua.
Assistiamo a una battuta di pesca dove i
pescatori, una decina di barche, battono dei lunghi bastoni in acqua per convogliare i pesci verso le reti. Il lago offre scenari bellissimi. Già ci pregustiamo l'escursione di un intera giornata (sul lago) prenotata per domani. Sbarchiamo in un molo di legno circondato da palafitte. Siamo a Maing Thauk  un villaggio costruito sulla sponda del lago con le case sull'acqua, una Venezia sui generis. L'ambiente è veramente singolare, i locali che per qualche ora al giorno convivono con il turista, facendo in modo che tutto rimanga in armonia con l'ambiente circostante. Cerchiamo un ristorantino/palafitta e in questo ambiente lacustre consumiamo il nostro pranzo.
È giunta l'ora di riprendere la bici e prendere la via del ritorno. Potrei raccontare mille curiosità sulle usanze e modi di vita di questi posti, ma mi dilungherei oltremodo, però due parole le voglio spendere per rendere omaggio alle donne del posto, alle Birmane in generale. Fiere del loro essere, giovani o anziane, non si fermano di fronte a nulla. Non esistono mestieri pesanti non adatti a loro, le abbiamo viste fare di tutto: portare carichi pesanti, asfaltare strade, fare il pastore, il pescatore o il muratore, al pari e, spesso insieme, agli uomini, 
avendone tutto il rispetto da parte loro per poi continuare a essere madri e mogli, mantenendo tutta la femminilità e dolcezza che le contraddistingue.
Ma torniamo a noi, strada facendo incontriamo un posto curiosissimo, con all'esterno decine di biciclette di tutti i colori e appese da tutte le parti che rendevano il tutto molto intrigante. Foto di rito "I love Inle Lake", quindi veniamo invitati da una ragazzina carinissima  a salire di sopra per vedere il locale all'interno. Uno stanzone arredato in modo bizzarro , particolare, ma di buon gusto, molto colorato e accogliente, artistico direi. Si tratta di una caffetteria e guesthouse  specializzato soprattutto in caffè. Le ragazze, gentilissime, che lo gestiscono, ci propongono un caffè americano fatto con chicchi appena macinati e non il solito "nescafe". Il caffè è buonissimo e fragrante è accompagnato da dolcetti e biscotti più bottiglietta d'acqua in omaggio (5000 Kyat ovvero 3 euro tutto incluso), se passate in zona ve lo consiglio,  si chiama Mot & Moi e si trova nella strada che riporta a Nyaung Shwe .
Si riparte, continuiamo ancora per qualche chilometro e ai nostri occhi appare l'indicazione che tutto il giorno avevamo sperato di trovare: Red Mountain Estate Winery. Potevamo privarcene? Giammai. E una cantina, vineria, ristorante con un panorama mozzafiato. Non vi dico per arrivarci: due chilometri di salita con pendenze micidiali e una bicicletta da passeggio con soli tre rapporti. Ho dovuto
disturbare il mio orgoglio da ciclista per salire su, senza smontare, il cuore a mille e la lingua fuori un palmo; siamo su. È una rarità vedere vigne in Myanmar, ancor di più poter degustare vino locale. Scegliamo il "menù " degustazione e per 5000 Kyat (circa 3 euro) ci portano quattro vini, due bianchi e due rossi e aspettiamo il tramonto affacciati ai bellissimi vigneti e al lago. Il Sole è sceso e scendiamo pure noi con la nostra bici, è ora di tornare in hotel.
Domani ci aspetta una bella gita in barca.
Buonanotte

6 Gennaio 2019. Da Hpa-an a Kyaiktiyo: The Golden Rock.



Stamattina sveglia alle 4.45 per ripartire?? No! Perché siamo vicino ad un tempio indù, qui c'è una gran presenza di induisti, che dalle 4.30 alle 6.00 e di pomeriggio la stesa cosa (ieri quando siamo arrivati era così) emettono dagli altoparlanti questo canto, questa lagna, questo lamento, questa preghiera (???), questo guaito di cane  che fa così: aiagnnnaagnnaaaalagnnnggaa; aiuagnagnagggnnnnaaa; gggejjjjjnnnaaagnaaaa;lailaretsgdhdh, con una melodia uguale ai lamenti del mal di pancia, avete presente?? Fisso, costante, ti penetra nel cervello che rimpiangi i cori sgangherati che spesso senti in chiesa. Vabbè pazienza, preghiamo. Colazione e via, si cerca la stazione dei bus per ripartire per altro lido: Kyaiktiyo. Tutti i bus sono al completo, chiediamo e giriamo per una mezz'oretta ma non ci arrendiamo. Il taxi ci chiede una cifra esorbitante, relativamente a quanto si spende con gli altri mezzi, ma lo teniamo in considerazione perché da qui vorremmo spostarci (sarebbero “solo” 35 euro per noi) . A me vengono un po’ i brividi al pensiero di tre ore, questo è il tempo di percorrenza previsto, con un nuovo autista sputacchione ma ci penseremo. Gigi ferma un bus chiede all'autista ma niente; un"altro ci propone di sederci al centro su piccoli sgabelli di plastica.
Quando i bus sono pieni chi vuole salire ha questa possibilità, sgabelli di plastica nel corridoio centrale, il prezzo non cambia e non importa se sei vecchio, incinta, donna anziana, chi ha il suo posto a sedere se lo tiene, la galanteria qui non esiste; diciamo che c'è “parità’????. Stiamo per accettare il posto in sgabello, anche se tre ore sono tante, quando la fortuna, che spesso ci aiuta, ci viene in soccorso: troviamo posto in un  bus che stava dietro al primo (gli ultimi due posti liberi… Che culo!) Si va, ore 8.15. Durante il tragitto in cui io avevo una donna che era peggio di un bambino a fianco perché si muoveva in continuazione, incrociava le gambe e mi poggiava il piede nella gamba, fortunatamente coperta dai miei pantaloni più lerci dei suoi piedi, si susseguono rispettivamente: 1^ fermata: donna con una ciotola argentea per raccolta donazioni, uguale al rito in chiesa durante l’offertorio. Va avanti e indietro e guarda tutti, della serie “ e inza’, poni su dinai’(=per favore qualcosa per i poveri); 2^fermata in mezzo al nulla: il militare per controllo passaporto. Le preghiere le vogliamo dimenticare? Neanche per sogno, dai monitors a circuito chiuso veniva trasmessa in continuazione la loro celebrazione religiosa con il “sacerdote” che guaiva i soliti: gnainannnaggggaga, allahhnanagnanan, gannarggagbnna…. per un'ora.
Dopo, meno male, hanno trasmesso una bella telenovela Birmana (fantastica). Sul bus ogni postazione é dotata di bottiglietta d'acqua e di bustina di plastica nera (la plastica dilaga ovunque)…. cosa vi viene in mente???? Esattamente, sputacchiera.
Arriviamo nei pressi di una stazione di rifornimento e ci scaricano. Si, l'assistente, lo Steward di bordo, ricordandosi esattamente dove dovevamo scendere, ci invita a farlo.
Niente paura perché c'è già un mezzo locale  che ci accompagnerà dove vogliamo. Il costo di tutto questo è stato di 10.000 Kyat per due (6 euro) il bus e 6000 Kyat l'ape taxi (euro 3.50).
Scarichiamo i bagagli nell'alloggio, bungalow meravigliosi ai piedi della Golden Rock, con uno staff di una gentilezza disarmante. Ci organizziamo e andiamo a visitare questo sacro tempio. Percorriamo a piedi circa cinquecento metri, fino alla stazione dei mezzi che portano sulla Golden Rock.
Sono dei camion cassonati dotati di sedili che riempono a “cravirura”(=tanto tanto) e cinture di sicurezza, abbiamo capito dopo il  perché (costo 2000 Kyat a testa). Percorrono a velocità improponibile, come matti, questa strada tutta curve in salita, verso la vetta (1.100 metri) in cui si trova la Pagoda. Se non pensi a quanto possa essere pericoloso diventa davvero divertente, sembra di stare sulle montagne russe, matti da legare questi autisti. Arrivati al capolinea, dopo circa 40 minuti, continuiamo a piedi in salita per altri 10 minuti.
Arriviamo a una prima postazione di controllo e ci fanno scalzare, non sono permesse neanche le calze. Gigi ha i bermuda e viene caldamente invitato (obbligato) a coprire le gambe fino alla caviglia. Non avendo di che coprirsi, gli porgono un Lungy e lo invitano a coprirsi; anzi lo vestono proprio. Il militare, una donna molto gentile, gli fa infilare questo cilindro di stoffa che si lega alla vita in un modo molto particolare. È bellissimo mio marito !! Percorriamo il primo tratto e veniamo fermati ad una seconda postazione di controllo ingresso per turisti, in cui, oltre che farti registrare, scrivendo nome e stato di provenienza, ti chiedono la tassa d'ingresso (10.000 Kyat a testa). Ok, ci siamo, continuiamo la camminata scalzi. Non sono luoghi puliti, non credo ne abbiano la giusta consapevolezza. Mentre ci avviciniamo alla Roccia siamo attornaiti da ogni genere di umanità. Turisti, devoti, monaci e monache provenienti da altri luoghi, portantini di lettiga per le persone in difficoltà motoria o per qualche “pigro”giapponese, portatori di qualunque cosa compreso bagagli per gli ospiti degli hotel circostanti. Ci lascia un po sbigottiti la devozione di quanti bivacchino (famiglie intere) intorno a questo tempio. Persone che dormono in terra e bambini meravigliosi che giocano tra loro. Suggestivo spaccato di umanità.
Arriviamo in cima, il panorama è davvero molto bello siamo sulla sommità del monte Kyaiktiyo; verde dappertutto. Poi la roccia d'oro.
È un masso ricoperto di foglie d'oro che vengono attaccate ad esso dai pellegrini che vi arrivano. Per i buddisti è uno dei tre luoghi sacri da visitare nella vita, un po’ come la mecca per i musulmani. Secondo la leggenda questa roccia si trova in un precario equilibrio su una ciocca di capelli di Buddha. Le donne non possono avvicinarsi ad esso, è vietato per noi salire alla sommità dove si trova la roccia che praticamente è a 10 metri dalla passerella per accedervi.
Foto di rito, gente, gente, gente, soprattutto asiatici. A Ggi si slega il Lungy e nel tentativo di legarlo fa ridere alcuni locali. Meglio un nodo normale. Si rientra. Ultima corsa ore 18.00. Il mezzo, che ora è in discesa, va più cauto. Bellissima giornata.