"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"
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22 Gennaio 2019. Inle Lake, in bici a spasso per il villaggio.

Buongiorno da Nyaung Shwe.
Oggi abbiamo deciso di conoscere meglio questo paese.
Recuperata un po di energia dal viaggio di ieri, usciamo a piedi.
Prima tappa, mercatino locale. Un esplosione di colori, frutta e verdura di ogni tipo e colore, il folclore  dei venditori è tutto un programma. Il dito indice della mano destra impazzisce, ormai vive di vita propria, scattando cento, che dico cento, mille fotogrammi al secondo. È un esplosione di vitalità. Mille cose curiose, dal vestiario agli attrezzi che per noi sono diventati antiquariato; le bilance sono quasi tutte "stadere" romane; le sarte usano macchine da cucire a pedale "Singer" e così via. Un tuffo nel nostro passato. Rivedo mia nonna che usava, appunto, quegli arnesi. 
Le donne sono il cardine portante di questo modello sociale, non stanno dietro a nessuno. Se si volesse un modello di parità sociale qui è di casa. Fanno qualsiasi mestiere, eccetto le prostitute. Le trovi a fare intonaco, a portare pietre dentro ceste di bambù intrecciato e militari permettendo, persino al governo.
Decidiamo di affittare due biciclette, 3000 Kyiat (poco meno di due euro), da rendere la sera. Così inizia il nostro giro che costeggia la parte occidentale del lago. Visitiamo villaggi costruiti in prossimità dello stesso. Alcune abitazioni sono vere e proprie palafitte, altre sono sulla terraferma e certamente non si fanno mancare un orticello ricavato da un fazzoletto di terra rubato al lago. Gli abitanti sono operosi e li vedi zappare, arare, tagliare canna da zucchero o portare sulla testa carichi di tronchi di legno. Questi lavori sono per tutti, senza distinzione di sesso o età. Chiaramente non mancano pagode e templi.
Siamo fortunati, passiamo in un campetto sterrato e ci incuriosisce la quantità di persone assemblate, sta per iniziare una partita di calcio a 7, anche qui è seguitissimo. Le squadre sono schierate, a noi sembra ridicolo pensare che sappiano giocare a calcio. La partita inizia, bastano pochi minuti per renderci conto che il pallone lo sanno usare, sono bravissimi e il pubblico è accanito. Tra un' ovazione e una sputacchiata decidiamo di abbandonare la partita, bella esperienza.
Di lì a poco ci imbarchiamo, biciclette
comprese, in una imbarcazione locale che ci porterà dall'altra sponda del lago. Si parte da Khaung Dine Village e si arriva dopo circa 20 minuti al molo di Maing Thauk Village il tutto per 6000 Kyiat (circa 3.50 euro).  Gli scafi locali sono esageratamente lunghi, la cosa curiosa sono i motori: accensione a manovella, tipo auto del 1800, con un volano esterno molto grosso e il solito "albero" per l'elica lunghissimo. Navigano con l'elica quasi in superficie lasciando lunghe scie e zampilli d'acqua.
Assistiamo a una battuta di pesca dove i
pescatori, una decina di barche, battono dei lunghi bastoni in acqua per convogliare i pesci verso le reti. Il lago offre scenari bellissimi. Già ci pregustiamo l'escursione di un intera giornata (sul lago) prenotata per domani. Sbarchiamo in un molo di legno circondato da palafitte. Siamo a Maing Thauk  un villaggio costruito sulla sponda del lago con le case sull'acqua, una Venezia sui generis. L'ambiente è veramente singolare, i locali che per qualche ora al giorno convivono con il turista, facendo in modo che tutto rimanga in armonia con l'ambiente circostante. Cerchiamo un ristorantino/palafitta e in questo ambiente lacustre consumiamo il nostro pranzo.
È giunta l'ora di riprendere la bici e prendere la via del ritorno. Potrei raccontare mille curiosità sulle usanze e modi di vita di questi posti, ma mi dilungherei oltremodo, però due parole le voglio spendere per rendere omaggio alle donne del posto, alle Birmane in generale. Fiere del loro essere, giovani o anziane, non si fermano di fronte a nulla. Non esistono mestieri pesanti non adatti a loro, le abbiamo viste fare di tutto: portare carichi pesanti, asfaltare strade, fare il pastore, il pescatore o il muratore, al pari e, spesso insieme, agli uomini, 
avendone tutto il rispetto da parte loro per poi continuare a essere madri e mogli, mantenendo tutta la femminilità e dolcezza che le contraddistingue.
Ma torniamo a noi, strada facendo incontriamo un posto curiosissimo, con all'esterno decine di biciclette di tutti i colori e appese da tutte le parti che rendevano il tutto molto intrigante. Foto di rito "I love Inle Lake", quindi veniamo invitati da una ragazzina carinissima  a salire di sopra per vedere il locale all'interno. Uno stanzone arredato in modo bizzarro , particolare, ma di buon gusto, molto colorato e accogliente, artistico direi. Si tratta di una caffetteria e guesthouse  specializzato soprattutto in caffè. Le ragazze, gentilissime, che lo gestiscono, ci propongono un caffè americano fatto con chicchi appena macinati e non il solito "nescafe". Il caffè è buonissimo e fragrante è accompagnato da dolcetti e biscotti più bottiglietta d'acqua in omaggio (5000 Kyat ovvero 3 euro tutto incluso), se passate in zona ve lo consiglio,  si chiama Mot & Moi e si trova nella strada che riporta a Nyaung Shwe .
Si riparte, continuiamo ancora per qualche chilometro e ai nostri occhi appare l'indicazione che tutto il giorno avevamo sperato di trovare: Red Mountain Estate Winery. Potevamo privarcene? Giammai. E una cantina, vineria, ristorante con un panorama mozzafiato. Non vi dico per arrivarci: due chilometri di salita con pendenze micidiali e una bicicletta da passeggio con soli tre rapporti. Ho dovuto
disturbare il mio orgoglio da ciclista per salire su, senza smontare, il cuore a mille e la lingua fuori un palmo; siamo su. È una rarità vedere vigne in Myanmar, ancor di più poter degustare vino locale. Scegliamo il "menù " degustazione e per 5000 Kyat (circa 3 euro) ci portano quattro vini, due bianchi e due rossi e aspettiamo il tramonto affacciati ai bellissimi vigneti e al lago. Il Sole è sceso e scendiamo pure noi con la nostra bici, è ora di tornare in hotel.
Domani ci aspetta una bella gita in barca.
Buonanotte

6 Gennaio 2019. Da Hpa-an a Kyaiktiyo: The Golden Rock.



Stamattina sveglia alle 4.45 per ripartire?? No! Perché siamo vicino ad un tempio indù, qui c'è una gran presenza di induisti, che dalle 4.30 alle 6.00 e di pomeriggio la stesa cosa (ieri quando siamo arrivati era così) emettono dagli altoparlanti questo canto, questa lagna, questo lamento, questa preghiera (???), questo guaito di cane  che fa così: aiagnnnaagnnaaaalagnnnggaa; aiuagnagnagggnnnnaaa; gggejjjjjnnnaaagnaaaa;lailaretsgdhdh, con una melodia uguale ai lamenti del mal di pancia, avete presente?? Fisso, costante, ti penetra nel cervello che rimpiangi i cori sgangherati che spesso senti in chiesa. Vabbè pazienza, preghiamo. Colazione e via, si cerca la stazione dei bus per ripartire per altro lido: Kyaiktiyo. Tutti i bus sono al completo, chiediamo e giriamo per una mezz'oretta ma non ci arrendiamo. Il taxi ci chiede una cifra esorbitante, relativamente a quanto si spende con gli altri mezzi, ma lo teniamo in considerazione perché da qui vorremmo spostarci (sarebbero “solo” 35 euro per noi) . A me vengono un po’ i brividi al pensiero di tre ore, questo è il tempo di percorrenza previsto, con un nuovo autista sputacchione ma ci penseremo. Gigi ferma un bus chiede all'autista ma niente; un"altro ci propone di sederci al centro su piccoli sgabelli di plastica.
Quando i bus sono pieni chi vuole salire ha questa possibilità, sgabelli di plastica nel corridoio centrale, il prezzo non cambia e non importa se sei vecchio, incinta, donna anziana, chi ha il suo posto a sedere se lo tiene, la galanteria qui non esiste; diciamo che c'è “parità’????. Stiamo per accettare il posto in sgabello, anche se tre ore sono tante, quando la fortuna, che spesso ci aiuta, ci viene in soccorso: troviamo posto in un  bus che stava dietro al primo (gli ultimi due posti liberi… Che culo!) Si va, ore 8.15. Durante il tragitto in cui io avevo una donna che era peggio di un bambino a fianco perché si muoveva in continuazione, incrociava le gambe e mi poggiava il piede nella gamba, fortunatamente coperta dai miei pantaloni più lerci dei suoi piedi, si susseguono rispettivamente: 1^ fermata: donna con una ciotola argentea per raccolta donazioni, uguale al rito in chiesa durante l’offertorio. Va avanti e indietro e guarda tutti, della serie “ e inza’, poni su dinai’(=per favore qualcosa per i poveri); 2^fermata in mezzo al nulla: il militare per controllo passaporto. Le preghiere le vogliamo dimenticare? Neanche per sogno, dai monitors a circuito chiuso veniva trasmessa in continuazione la loro celebrazione religiosa con il “sacerdote” che guaiva i soliti: gnainannnaggggaga, allahhnanagnanan, gannarggagbnna…. per un'ora.
Dopo, meno male, hanno trasmesso una bella telenovela Birmana (fantastica). Sul bus ogni postazione é dotata di bottiglietta d'acqua e di bustina di plastica nera (la plastica dilaga ovunque)…. cosa vi viene in mente???? Esattamente, sputacchiera.
Arriviamo nei pressi di una stazione di rifornimento e ci scaricano. Si, l'assistente, lo Steward di bordo, ricordandosi esattamente dove dovevamo scendere, ci invita a farlo.
Niente paura perché c'è già un mezzo locale  che ci accompagnerà dove vogliamo. Il costo di tutto questo è stato di 10.000 Kyat per due (6 euro) il bus e 6000 Kyat l'ape taxi (euro 3.50).
Scarichiamo i bagagli nell'alloggio, bungalow meravigliosi ai piedi della Golden Rock, con uno staff di una gentilezza disarmante. Ci organizziamo e andiamo a visitare questo sacro tempio. Percorriamo a piedi circa cinquecento metri, fino alla stazione dei mezzi che portano sulla Golden Rock.
Sono dei camion cassonati dotati di sedili che riempono a “cravirura”(=tanto tanto) e cinture di sicurezza, abbiamo capito dopo il  perché (costo 2000 Kyat a testa). Percorrono a velocità improponibile, come matti, questa strada tutta curve in salita, verso la vetta (1.100 metri) in cui si trova la Pagoda. Se non pensi a quanto possa essere pericoloso diventa davvero divertente, sembra di stare sulle montagne russe, matti da legare questi autisti. Arrivati al capolinea, dopo circa 40 minuti, continuiamo a piedi in salita per altri 10 minuti.
Arriviamo a una prima postazione di controllo e ci fanno scalzare, non sono permesse neanche le calze. Gigi ha i bermuda e viene caldamente invitato (obbligato) a coprire le gambe fino alla caviglia. Non avendo di che coprirsi, gli porgono un Lungy e lo invitano a coprirsi; anzi lo vestono proprio. Il militare, una donna molto gentile, gli fa infilare questo cilindro di stoffa che si lega alla vita in un modo molto particolare. È bellissimo mio marito !! Percorriamo il primo tratto e veniamo fermati ad una seconda postazione di controllo ingresso per turisti, in cui, oltre che farti registrare, scrivendo nome e stato di provenienza, ti chiedono la tassa d'ingresso (10.000 Kyat a testa). Ok, ci siamo, continuiamo la camminata scalzi. Non sono luoghi puliti, non credo ne abbiano la giusta consapevolezza. Mentre ci avviciniamo alla Roccia siamo attornaiti da ogni genere di umanità. Turisti, devoti, monaci e monache provenienti da altri luoghi, portantini di lettiga per le persone in difficoltà motoria o per qualche “pigro”giapponese, portatori di qualunque cosa compreso bagagli per gli ospiti degli hotel circostanti. Ci lascia un po sbigottiti la devozione di quanti bivacchino (famiglie intere) intorno a questo tempio. Persone che dormono in terra e bambini meravigliosi che giocano tra loro. Suggestivo spaccato di umanità.
Arriviamo in cima, il panorama è davvero molto bello siamo sulla sommità del monte Kyaiktiyo; verde dappertutto. Poi la roccia d'oro.
È un masso ricoperto di foglie d'oro che vengono attaccate ad esso dai pellegrini che vi arrivano. Per i buddisti è uno dei tre luoghi sacri da visitare nella vita, un po’ come la mecca per i musulmani. Secondo la leggenda questa roccia si trova in un precario equilibrio su una ciocca di capelli di Buddha. Le donne non possono avvicinarsi ad esso, è vietato per noi salire alla sommità dove si trova la roccia che praticamente è a 10 metri dalla passerella per accedervi.
Foto di rito, gente, gente, gente, soprattutto asiatici. A Ggi si slega il Lungy e nel tentativo di legarlo fa ridere alcuni locali. Meglio un nodo normale. Si rientra. Ultima corsa ore 18.00. Il mezzo, che ora è in discesa, va più cauto. Bellissima giornata.