"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"
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5 marzo 2019. Da Don Khone a Siaem Reap


La giornata di oggi ci vedrà protagonisti in un trasferimento di quelli
impegnativi. Oltre a cambiare “città”, cambieremo pure nazione. Oggi entriamo in Cambogia e lasciamo il Laos che ci ha ospitato, non tanto volentieri, per un mese, l'impressione è questa. Partiamo dal moletto di Don Khone, ci aspettano 400Km circa da fare. Giusto il tempo di fare colazione e la barca viene a prenderci, carica altri passeggeri e alle 8:00 salpiamo. Da questa isoletta arriviamo a Ban Nakasang. Abbiamo fatto i biglietti con AVT, un agenzia che, sulla carta, dovrebbe essere un po più affidabile rispetto le altre.
Prezzo del biglietto da Don Khone a Siaem Reap, 28€ a testa. A proposito, a Don Khon non ci sono ATM (bancomat), quindi prelevate prima di arrivare alle 4000 isole. Tornando al nostro trasferimento, dopo circa 30 minuti di navigazione in barca fatiscente, come tutto del resto, attracchiamo a Ban Nakasong (qui ci sono i bancomat); ci spostiamo per qualche centinaio di metri, un minivan ci attende, pensavamo di avere un servizio un po migliore, non è così. Minivan strapieno; per far salire un passeggero in avanzo ci dobbiamo stringere e per mezz'ora questa sarà la nostra situazione “stretti stretti”. Siamo al confine con la Cambogia.
Per uscire dal Laos troverete degli sportelli, a destra del passaggio obbligatorio, in cui siede la polizia di frontiera. Sono militari scazzatissimi e poco cortesi che hanno, ormai, la consolidata consuetudine di rubare 2 dollari a testa, così, come tangente per poter uscire dal paese. Tutti lo sanno, pochissimi protestano, tutti siamo totalmente impotenti, qui non si scherza. Messi due timbri sul passaporto dati i due dollari a cranio, puoi uscire. Attenzione: vi dobbiamo raccomandare, purtroppo, di fare questo passaggio con questi farabutti di militari, perché, di fronte a questi, sul lato sinistro, ci sono alcuni civili, in apparenza molto gentili, che ti invitano ad affidarti a loro per le procedure di passaggio in frontiera. Questi ti faranno tutto ma facendoti pagare almeno 5 dollari a testa in più. Tutto per due moduli semplicissimi da compilare all'ingresso in Cambogia. Il furto, che non riguarda la somma ma ovviamente il gesto, quindi, è da entrambi i lati.
Lasciato il check point laotiano, facciamo qualche centinaio di metri in una  una landa desolata, non c'è un cane, nel vero senso della parola. Arriamo in prossimità di due edifici pacchiani, simili a pagode, qualcuno ci indica di entrare in uno dei due. Siamo totalmente soli perché il resto della comitiva del minivan probabilmente si è fatta abbindolare da quegli imbroglioni della frontiera in Laos. Entriamo in questo specie di grande ufficio con diversi sportelli. All'interno ci sono anche qui dei militari, faccia cupa, poco accoglienti, poco disponibili. Ci indicano il primo modulo da compilare, molto semplice. Primo sportello: consegna di tutto ovvero una fototessera, 35 dollari, passaporto, modulo compilato. Ti prendono le impronte digitali, ti fanno una foto (non bastava la fototessera) e poi passi allo sportello 2, affianco. In questo, il militare timbra il passaporto. Sportello 3: compilizione e consegna di un altro modulo, simile al primo. 4 sportello ti danno l'ok e ti lasciano andare.
Abbiamo impiegato pochissimo ed è andata bene. Sempre a piedi e sotto il sole, usciamo dal gate e arriviamo all'ufficio AVT: una baracca nella polvere, che vende due biscotti e cucina qualcosa da mangiare qualora si avesse fame. Sono circa le 10.00 e ci comunicano che il bus, anzi minivan (viaggiano solo minivan tra i confini), partirà alle 11.30. Caldo, polvere e attesa. Arrivano anche gli altri dispersi, alle 12.00 si parte. Minivan fatiscente, aria condizionata poco efficiente e con finestini chiusi per la polvere. Fortunatamente il viaggio è “solo’’ di mezz'ora. Stop alla cittadina di Stung Treng. Qui ne vediamo delle belle; turisti in attesa come noi, tutti ammassati in un altro pseudo ufficio ristorante dove dovrebbero essere smistati i passeggeri per le due mete: Siem Reap o la capitale Phnom Penh. Nel frattempo gente del posto che mangia insetti come le api il miele, graditissime le blatte, alle quali tolgono prima le zampette poi giù tutto in un boccone, sgranocchia e vai😱. Alle 14.00, con un'altro minivan leggermente decente, si parte finalmente: destinazione Siem Reap, circa 5 ore di viaggio. Le ore saranno 6; dentro il minivan l'aria condizionata non funziona bene ed è come fare la sauna. Una tappa per i bisogni e per sgranchire le gambe e via di nuovo.
Stranamente qui gli autisti corrono come matti. Assistiamo a sorpassi con sfioro e ci cag… spesso; Aiuto. Il nostro primo tramonto in Cambogia lo vediamo dal finestrino del minivan. Arriviamo sani e salvi alle 19.00. Ci fanno scendere in prossimità di un ufficio dove dei tuk tuk dell'agenzia AVT, gratuitamente, ti accompagnano all'alloggio prenotato, buon servizio. Ovviamente il conducente del tuk tuk si propone come autista e guida per i giorni del tuo soggiorno, per la modica cifra di 20 o più dollari. Ci sembra di essere tornati in Italia con i prezzi dei servizi. Arrivati in hotel, stremati, dopo una doccia da squoio, andiamo a cercare qualcosa da mangiare, to’ una pizzeria con forno a legna. Secondo voi? Era ottima. Ovviamente facciamo conoscenza con la nostra nuova bevanda: la Ankgor beer, buona buona.

3/4 marzo 2019. Don Khon (alla ricerca dei delfini)

Ieri, 3 marzo, non avendo programmi particolari, ci siamo dati al total
relax, anzi direi all'Otium latino, quello che serve a ragionare, organizzare, fare il punto delle situazioni e scrivere. Siamo tornati nell'oasi di bellezze naturali del parco delle Somphamit Waterfalls, dove avantieri abbiamo fatto lo zip line. Abbiamo trascorso la giornata qui, tra uno shakerato e un frullato, tra amaca e fiume. Oggi 4 marzo, dopo la colazione sullo scenario incantevole del fiume di fronte a noi, in cui si
vedono passare i ragazzini in divisa scolastica che vanno a scuola in barca, ci organizziamo per andare a vedere i delfini. Noleggiamo le bici per un euro l'una (10000 Kips) e ci incamminiamo verso il moletto visto due giorni fa, quello che sta nella punta a sud dell'isola, Ban Hang Khon. Arriviamo intorno alle 10 e uno dei procacciatori di affari, in questo caso il tour in barca, si avvicina e ci chiede se vogliamo vedere i delfini. Si definisce la cifra, dalla quale non si schiodano mai, e si va, 70.000 Kips (7 euro) per un ora di ricerca mammiferi dal muso corto. La giornata è bella calda ma in barca si sta bene. Il barcaiolo, che non è il procacciatore, è un incrocio tra un orso (antipatico) e una scimmia, da quanto è brutto. La barca poi è tutto un programma: assi di legno staccati, acqua che entra dallo scafo e lamiera mezzo divelta a copertura. Ovviamente mai i laotiani si dedichino a fare
manutenzione perché faticherebbero troppo. Il giro inizia e, sinceramente, non ci aspettiamo tanto. Dal punto di vista naturalistico è meraviglioso; alberi che affiorano dal fiume e che sono piegati dalla forza dello stesso quando è in piena; somigliano ai nostri bellissimi ginepri, che spesso vediamo nelle campagne, piegati dal nostro maestrale. Il fiume poi sembra un lago, non si percepisce la corrente e fa da specchio a tutto ciò che lo circonda. Arriviamo, dopo venti minuti di navigazione, in una specie di baia ed eccoli, ci sono davvero. Purtroppo
stanno distanti dalla barca ma possiamo vedere le loro pinne e ogni tanto il musetto simpatico. Sono veloci a salire per respirare ed è difficilissimo fotografarli ma sentire il suono dello sbuffo che emettono ogni volta che risalgono in superficie e vedere la pelle grigia e lucida che brilla al sole è emozionante. Insomma stiamo circa mezz'ora qui, attorniati da loro che però non si mettono in bella mostra; nel
frattempo il barcaiolo si riposa, dormicchia. Ok, va bene così, rientriamo al molo; riprese le bici torniamo verso l'albergo, la distanza è di circa 7 km. Prima di rintanarci al fresco della camera, nulla ci toglie un panino al tonno e birra ghiacciata. Alle 15.00 siamo in camera, doccia immediata, caffè e riposino. La serata sarà di organizzazione bagagli, organizzazione step successivi da fare, perché domani lasceremo il Laos, dopo un mese di permanenza, per entrare in un nuovo mondo a noi sconosciuto: la Cambogia.

2 marzo 2019. Don Khon - visiting Don Det


Le giornate sono sempre bellissime. Caldo torrido ma la costante presenza del fiume ci dà respiro. Decidiamo di continuare ad ispezionare la parte restante dell'isola, verso sud. Riprendiamo le bici e iniziamo a pedalare. Le

strade sono molto pietrose, quindi, sembra di avere un motopicco. Ormai conviviamo con polvere, caldo e sudore. Nel nostro girovagare, ieri, abbiamo incontrato un sardo, un ragazzo sardo di San Sperate, Alessandro. Oggi ci imbattiamo proprio in lui che rientra dal punto da noi prefissato per oggi. Ci dice che non c'è più possibilità di inoltrarsi e che ad un certo punto la stradina è interrotta da un ponte diroccato. Ovviamente si torna indietro per percorrere la strada alternativa, Alessandro viene con noi. Siamo in tre e chiacchierare con un sardo, vicino di casa, viaggiatore e curioso come e più di noi, ci fa tanto
piacere. Arrivati, pedala, pedala, dove volevamo, ovvero alla parte estrema a sud, ammiriamo lo scenario da un molo dal quale parte il tour per vedere i famosi delfini dell'Irrawaddy. L’irrawady per noi è uno dei bellissimi ricordi del Myanmar, è il fiume che percorremmo, in battello, nel tragitto Bagan/Mandalay. Il nome attribuito a questo mammifero deriva dal fatto che fu avvistato per la prima volta lì, in Myanmar, nell'Irrawaddy. Questi delfini sono stanziali anche in quest'area e spesso vengono avvistati. È molto diverso da quello comunemente conosciuto, il suo nome scientifico è Orcaella Brevirostris ed è simile al Beluga. Il nome scientifico deriva dal fatto che è imparentato con l'orca e che ha il muso corto, dal latino brevi rostris, dal rostro (muso) corto e qui Piero Angela si ritira. Comunque non li abbiamo visti🤣. Per vederli o sperare di vederli, prenderemo un battello nei prossimi giorni e vi racconteremo. Per ora stiamo ad ammirare lo scenario dal molo; è davvero bello quì, sembra un lago anzi una laguna.
Affiorano ciuffi di isolotti qua e là e l'acqua ne fa da specchio. Riprese le bici torniamo indietro, ormai abbiamo esplorato in lungo e largo Don Khon. Ci rimane l'isola ad essa collegata da un ponte: la caotica, irriverente, hippie, Don Det. Attraversiamo il villaggio della nostra isola, il ponte, e siamo a Don Det. Percorriamo la via centrale, anche questa sterrata ma più regolare, é molto carina, molto più accogliente di Don Khone; ci sono guesthouse, piccoli alberghetti, uffici turistici con parvenza di uffici
turistici, sembra davvero ben organizzata. La cosa migliore poi è che si affaccia su un angolo di Mekong molto più suggestivo della nostra zona. Isolotti e verde ci appagano la vista. Non vediamo né ci accorgiamo di questa descrizione fatta da molti, sul web, della sua stravaganza, anzi. Probabilmente la sera si anima un bel po’ ma sinceramente se l'avessimo vista prima saremmo rimasti qui; per le serate “mondane da sballo”, laddove ci fossero realmente, basterebbe semplicemente evitarle.Ci piace
tanto Don Det. Ci fermiamo per un panino e birra fresca, che con un po di difficoltà troviamo, perché la pigrizia innata di questa gente è veramente esagerata. Alessandro è sempre con noi, un'ottima compagnia. Ci dà suggerimenti di viaggio, scambiamo tante riflessioni importanti sulle impressioni di viaggio e arriviamo spesso alle stesse conclusioni, soprattutto sui laotiani: sono delle MER.. . §«¬¿|§ E !!! Se qualcuno avesse un'opinione diversa prego contattarci perché vorremmo sapere che film ha visto. Per
rientrare da noi prendiamo la via parallela, che fiancheggia il fiume. Molto scenografica, bellissimi scenari. Foto e foto, anche quando troviamo, sulla stradina, una carbonaia. Non è una donna che vende carbone ma un manufatto in cui si produce il carbone vegetale in modo artigianale. È una cupola alta circa un metro, fatta di un impasto di argilla e fieno, dentro cui si mettono pezzi di legna che vengono carbonizzati, per il procedimento andate a leggere Wikipedia 😉 . OK, arriviamo all'alberghetto che ci ospita, fronte fiume. Salutiamo Alessandro, che domani partirà per alti lidi, con la promessa di rimanere in contatto e soprattutto di vederci in Sardegna per scambiarci opinioni davanti ad un buon bicchiere di birra o il nostro buon vino e i nostri desiderati formaggi; a proposito qui non esistono e ci mancano tanto. Un'altra cosa che manca in queste due isole è un ATM (Bancomat), quindi venite con contanti.

28 febbraio 2019. 4000 isole - Don Khon


Viste le dimensioni dell'isola oggi abbiamo in programma: tour in
bicicletta. Cercheremo alcuni punti già individuati sulla carta. Queste isole sono famose, oltre che per essere tante, anche per le rapide e cascatelle che il Mekong crea; proprio alcune di queste rientrano nei nostri obiettivi odierni. Andiamo a prendere le bici che terremo tutto il giorno, costo del noleggio 10.000 Kips l’una; siamo pronti a partire. Andiamo nella costa orientale di Don Khon, che non è un prete, bensì l'isola che ci ospita. Percorriamo qualche kilometro in un sentiero sconnesso e con molte pietre, ma i muscoli ricordano ancora come si pedala e andiamo tranquilli. La nostra pedalata termina nei pressi di un ponte sospeso che attraversa il fiume. Parcheggiamo e proseguiamo a piedi. Oltre il ponte, seguiamo le tracce di un piccolo sentiero, che ci guida fino alle
rapide più importanti. Lo spettacolo naturalistico é veramente bello, il GPS le menziona come Khane Paksy Waterfall. Cerchiamo i punti più suggestivi, anche fotograficamente, e, per non farci mancare nulla, raggiungiamo una piccola spiaggia poco più a sud. La sabbia è
ricchissima di un minerale che riflette la luce come fossero frammenti microscopici di specchio, prendono la scena degli alberi grossissimi che mostrano le loro radici nude. Sono fotogrammi che rimarranno impressi nei nostri ricordi. Si rientra; raggiunto nuovamente il ponte ci rimpossessiamo delle nostre bici e si parte. Per il rientro decidiamo di percorrere un'altra “stradina”, alternativa, che fiancheggia il fiume.
Attraversiamo qualche baracca sparsa lungo il sentiero, assistendo a spaccati di vita quotidiana che sono il sale che condisce il viaggio. Certe situazioni spiegano l'indole poco ospitale dei laotiani. Questo che sto affermando è un pensiero covato e riflettuto a lungo prima di permettermi di esprimerlo: non abbiamo trovato, girando da nord a sud, questa indole ospitale e sorridente, tanto decantata, del popolo laotiano. Ti sorridono e sono cortesi, il personale dei grandi alberghi e quelli che ti devono vendere qualcosa, altrimenti sei un essere inesistente. Penso che le istituzioni abbiano violentato questa gente, imponendo loro di accettare il turista, ma a loro del turismo, almeno alla maggior parte, “non gliene può fregar di meno”. Sono persone semplici, alle quali piace lavorare il meno possibile, mangiare e dormire, tutto il resto fanculo. Alcune volte entri in piccoli negozietti, dove il gestore è coricato per terra che guarda TV o telefonino e non ti degna neppure di un sguardo. Della serie: mi devo scomodare per te, se vuoi  stare, aspetta i miei ritmi (normalmente biblici). Siamo nuovamente nell'agglomerato principale. Tutte le strade sono in sterrato, fa eccezione un pezzetto di un centinaio di metri che è in cemento, posso immaginare nel periodo delle piogge, fango in ogni dove.
Certo non si può dire che abbiano una qualità di vita eccelsa; ma chi si accontenta gode. Troviamo un piccolo ristorantino sull'argine del fiume, il sole è caldissimo, ci rifocilliamo all'ombra con un paninozzo al tonno e un bicchiere di birra, forse due o tre, booh ho perso il conto 😂🤣😂. Forse è meglio parcheggiare le bici e rilassarsi un'oretta in camera con condizionatore a manetta. Così facciamo. Tra una cosa e un'altra si è fatta sera. Cenetta in un ristorantino di un carino eccezionale, per il Laos, “The Garden”, c'è un cuoco sopraffino. Passeggiatina e si rientra in camera. È ora di scrivere qualche riga nel blog e salutare amici e parenti nei social. Buonanotte.

27 febbraio 2019. da Pakse a Don Khon

Ore 7.00 sveglia. Dopo colazione e check-out hotel, si riparte. Strano
ma vero, il tuk tuk arriva puntualmente alle 8.10. Dobbiamo essere alla stazione bus entro le 8.30.  Durante il tragitto di qualche km carichiamo altre 4 persone con relativo bagaglio. Fortunatamente arriviamo puntuali per la partenza delle 8.30 in bus. Si parte. Solita storia, l'autista si ferma per una commissione in un negozio di dolciumi e poi riparte. Dopo un'ora, altro stop; sarebbe lo stop di cortesia per far fare  i bisogni e le compere ai turisti trasportati ma non ci illudiamo; si è fermato per 10 minuti con questa scusa ma in realtà doveva scaricare ciò che aveva comprato nel negozio di dolciumi di prima, scatole di qualcosa che aveva stipato nel portabagagli. Comunque, meno male che il punto di imbarco per le isole, Ban Nakasong, è vicino. Solo due ore di bus e ci siamo. È un piccolo
villaggio  il cui molo è punto di arrivo e partenza da e per le isole. Le 4000 isole, in realtà, sono un arcipelago che si chiama Si Phan Don e se anche non è composto da 4000 isole, sono comunque tante.  Il fiume Makong si dirama tra esse e quando è in piena ne sommerge tante. Alcune ne sono esenti e sono stabilmente abitate. In esse ci sono villaggi e scuole ma anche molti resort e attività ricettive e ricreative. Le tre
isole più rinomate, perché più attrezzate di tutto, sono: Don Khong, Don Det e Don Khone, dove prendiamo alloggio noi. La prima è la più grande, si parla di 18 km per 8, ed è anche la più tranquilla, fin troppo. Si dice non ci sia quasi niente se non qualche bungalows e locande ristorante. La seconda è di fronte alla nostra, sono dirimpettaie e collegate da un ponte. Si dice sia la più mondana e "hippie", dove vanno soprattutto i giovani a "" rilassarsi"". La nostra, Don Khone, è una via di mezzo. Da qui si organizzano diverse escursioni e ci sono zone più o meno frequentate. Don Khone (Khon) è ben organizzata e accogliente. Ovviamente i resort, guesthouse e alberghetti sono bungalow di legno o strutture in muratura abbastanza spartane ma molto confortevoli. 
Quasi tutte si affacciano sul fiume, dove la visuale è incantevole. Le stradine interne sono sabbiose e sterrate. Ci sono due scuole e diversi abitanti residenti. Biciclette e motorini non mancano mai. La cosa più divertente è vedere i bambini guidare gli scooter; 125 cc condotti con nonchalance da piccolini, più o meno di dieci anni. Qui, come in tutte le zone da noi toccate, il motorino non è una conquista o un premio ambito, è semplicemente il mezzo per spostarsi, fare commissioni o andare a scuola. Purtroppo l'inquinamento è dilagante ma è un capitolo troppo complesso da toccare. Ma stiamo in tema isola:  ci piace questo posto qua.
Unico "neo" il mio amatissimo caldo; mai chiederò il divorzio, dovessi boccheggiare e morire bollita, però, è davvero quasi al limite di sopportazione, soprattutto perché non c'è il mare dove potersi refrigerare, motivo per cui si trovano  diverse piscine, da noi spesso disdegnate prima d'ora. Nel fiume è meglio evitare di mettere un piede, non è proprio invitante, è marrone. Per giusta informazione, per questo tragitto, dall'hotel di Pakse all'isola, tutto compreso, quindi anche barca dal molo di Nakasong a Don Khone, abbiamo speso 65.000 Kips a testa (6.50 euro) e impiegato 2 ore e mezza. La sera, dopo aver visto come organizzarsi per le prossime giornate, ceniamo in uno dei tanti ristorantini, ma la sorpresa è che c'è un ristorantino indiano, indiano, indiano! Noi adoriamo la cucina indiana e ci tuffiamo dentro. Io prendo un menù vegetariano (troppa carne fin'ora), Gigi il "carniano"😂. Chi conosce la cucina indiana sa di cosa parlo, troppo buona. Alle 21.00 siamo già rientrati dell'alloggio. Qui non si fa vita mondana. La fanno le zanzare per noi, purtroppo la malaria è in agguato. Speriamo bene😐

N.B. SULLE ISOLE NON CI SONO ATM. POTETE PRELEVARE SOLO A BAN NAKASONG!!!!