"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"
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13 e 14 marzo 2019. In giro per Phnom Penh tra mercati, tempio e Mekong.

In questi ultimi giorni di permanenza qui, ci dedicheremo a scoprirne i meandri. Intanto iniziamo con i mercati; ce ne sono diversi e in diverse parti della città: c'è quello russo, quello centrale, quello
notturno e altri simili. Il mercato russo deve il suo nome al fatto che negli anni 80 gli espatriati russi venivano qui a comperare. Quello centrale si chiama così perché sta al centro della città. Quello notturno, indovinate perché si chiama così. Ce ne  almeno altri due molto grandi e tanti minori ma sinceramente ci bastavano questi. Sono enormi e trovi davvero di tutto, dalla carne alla parrucchiera, passando per le gioiellerie e i pescivendoli, senza dimenticare manicure e pedicure. Souvenir a prezzi stracciati marche e griffe taroccate di tutti i generi. Ormai siamo abbastanza abitati a questa specificità asiatica ma c'è sempre qualcosa di nuovo da vedere. La sera giriamo per le strade e ci rendiamo conto che qui è peggio di Bangkok a prostituzione. Non c'è una o due strade dove trovarle,
ma interi quartieri. Sempre la stessa solfa: massageee o hellooo, donnine giovanissime e pronte a tutto pur di guadagnare facile. Ritroviamo con "" piacere"" i rincoglioniti che vengono qui a fare sesso o a trovarsi la badante bag.. Insomma, squallore puro. Per il resto la città è molto accogliente, abbastanza sporca in alcuni punti ma facilmente fruibile. I locali, intendo le persone del posto, sono sempre molto accoglienti e si nota subito la loro abitudine a trattare con turisti di tutto il mondo. La maggior parte conosce l'inglese e sono soprattutto molto disponibili.


14 marzo 2019, oggi visita al tempio della città, il Wat Phnom. Situato in cima a una collinetta alta 27 metri, Wat Phnom è l'unica "collina" in città. Secondo la leggenda, la prima pagoda su questo sito fu
eretta nel 1372 per ospitare quattro statue di Buddha depositate qui dalle acque del fiume Mekong e scoperte da Lady Penh. Da qui il nome della città Phnom Penh o "collina di Penh". Un dollaro a testa per l'ingresso e tante cose da vedere. Non parlo del sito in se, carino, ma niente di rilevante, ma della vita attorno ad esso. Benedizioni strane da parte di pseudo santoni, donazioni di denaro e beni alimentari; santoni/sacerdoti "in borghese" che, mentre tutti pregano o si fanno benedire dai "" colleghi"" con tanto di incensi accesi e budda, contano i soldi offerti🙏. È Tutto molto interessante, direbbe Rovazzi. Nel giardino attorno, molto carino, si trova un grande orologio e una scultura in paglia di un grande cane...boh. Usciti da lì, non prima di aver visto
un serpente verde bellissimo lottare con una specie di grande lucertolona grigia con i pois arancioni sul tronco di un albero maestoso, andiamo al mercato lì vicino. Scene fantastiche, nel vero senso della parola, forse con qualche immagine riusciremo a descriverle. È ora di metter nello stomaco qualcosa, oggi coreano, zuppa dal nome improponibile e polpettine, davvero ottimo. Serata conclusiva con tanto di tramonto in battello sul Mekong. Con 5 dollari comprensivi di bevanda a scelta, puoi fare il tour in barca, sul Mekong, per un'ora. Bellissima sensazione di completo rilassamento; sarà la barca, la serata calda o la birra, ma ce la godiamo. Finiremo la giornata cenando indiano: Palak panee, Masala Dal, Naan, roti, Momo e la nostra, poco indi, birra.

Piccolo video che racconta il nostro passaggio a Phnom Penh. Link sotto
https://youtu.be/WvDMQ-KVz7E




28 febbraio 2019. 4000 isole - Don Khon


Viste le dimensioni dell'isola oggi abbiamo in programma: tour in
bicicletta. Cercheremo alcuni punti già individuati sulla carta. Queste isole sono famose, oltre che per essere tante, anche per le rapide e cascatelle che il Mekong crea; proprio alcune di queste rientrano nei nostri obiettivi odierni. Andiamo a prendere le bici che terremo tutto il giorno, costo del noleggio 10.000 Kips l’una; siamo pronti a partire. Andiamo nella costa orientale di Don Khon, che non è un prete, bensì l'isola che ci ospita. Percorriamo qualche kilometro in un sentiero sconnesso e con molte pietre, ma i muscoli ricordano ancora come si pedala e andiamo tranquilli. La nostra pedalata termina nei pressi di un ponte sospeso che attraversa il fiume. Parcheggiamo e proseguiamo a piedi. Oltre il ponte, seguiamo le tracce di un piccolo sentiero, che ci guida fino alle
rapide più importanti. Lo spettacolo naturalistico é veramente bello, il GPS le menziona come Khane Paksy Waterfall. Cerchiamo i punti più suggestivi, anche fotograficamente, e, per non farci mancare nulla, raggiungiamo una piccola spiaggia poco più a sud. La sabbia è
ricchissima di un minerale che riflette la luce come fossero frammenti microscopici di specchio, prendono la scena degli alberi grossissimi che mostrano le loro radici nude. Sono fotogrammi che rimarranno impressi nei nostri ricordi. Si rientra; raggiunto nuovamente il ponte ci rimpossessiamo delle nostre bici e si parte. Per il rientro decidiamo di percorrere un'altra “stradina”, alternativa, che fiancheggia il fiume.
Attraversiamo qualche baracca sparsa lungo il sentiero, assistendo a spaccati di vita quotidiana che sono il sale che condisce il viaggio. Certe situazioni spiegano l'indole poco ospitale dei laotiani. Questo che sto affermando è un pensiero covato e riflettuto a lungo prima di permettermi di esprimerlo: non abbiamo trovato, girando da nord a sud, questa indole ospitale e sorridente, tanto decantata, del popolo laotiano. Ti sorridono e sono cortesi, il personale dei grandi alberghi e quelli che ti devono vendere qualcosa, altrimenti sei un essere inesistente. Penso che le istituzioni abbiano violentato questa gente, imponendo loro di accettare il turista, ma a loro del turismo, almeno alla maggior parte, “non gliene può fregar di meno”. Sono persone semplici, alle quali piace lavorare il meno possibile, mangiare e dormire, tutto il resto fanculo. Alcune volte entri in piccoli negozietti, dove il gestore è coricato per terra che guarda TV o telefonino e non ti degna neppure di un sguardo. Della serie: mi devo scomodare per te, se vuoi  stare, aspetta i miei ritmi (normalmente biblici). Siamo nuovamente nell'agglomerato principale. Tutte le strade sono in sterrato, fa eccezione un pezzetto di un centinaio di metri che è in cemento, posso immaginare nel periodo delle piogge, fango in ogni dove.
Certo non si può dire che abbiano una qualità di vita eccelsa; ma chi si accontenta gode. Troviamo un piccolo ristorantino sull'argine del fiume, il sole è caldissimo, ci rifocilliamo all'ombra con un paninozzo al tonno e un bicchiere di birra, forse due o tre, booh ho perso il conto 😂🤣😂. Forse è meglio parcheggiare le bici e rilassarsi un'oretta in camera con condizionatore a manetta. Così facciamo. Tra una cosa e un'altra si è fatta sera. Cenetta in un ristorantino di un carino eccezionale, per il Laos, “The Garden”, c'è un cuoco sopraffino. Passeggiatina e si rientra in camera. È ora di scrivere qualche riga nel blog e salutare amici e parenti nei social. Buonanotte.

24 febbraio 2019, Wat Phou - Pakse

Squilla il telefono in camera, guardo l'orologio, sono le 8.00: “good morning the motorbike is here!”; azz.. Ieri abbiamo prenotato uno scooter, con consegna prevista intorno alle 8.00 ma non pensavo fossero così puntuali. Mi metto addosso qualcosa e vado giù a concludere la consegna. Tutto ok. Caschi e scooter ci attendono. Sarà nostro per tre giorni, al costo di 50.000 Kips al giorno. Facciamo colazione e partiamo alla volta di Wat Phu, il sito archeologico più importante della regione e patrimonio dell'UNESCO. Dista 45 km da dove siamo alloggiati e quindi prevediamo un viaggio di circa un'ora. Facciamo il pieno con 2 euro (20.000 Kips) e si va. Come previsto arriviamo dopo un'oretta, la strada percorsa è molto ben messa,
probabilmente è privata perché, oltre questa buona impressione, ci sono dei caselli per il pedaggio, i due ruote sono esenti. È molto piacevole da percorrere perché è fiancheggiata da un lato dal fiume Mekong ed i suoi immancabili scenari, tra pescatori e isolotti, dall'altro da   risaie verdissime e altre coltivazioni come grano e granturco. Arriviamo al sito, sono le 10.10. Il caldo è già pesante. Parcheggiato nell'apposito spazio
riservato agli scooter, prezzo (5000 Kips), proseguiamo per la biglietteria, ci sorprende la cifra d'ingresso, abbastanza alta per questo paese: 50.000 Kips a testa, ovvero 5 euro a testa; vabbè è patrimonio UNESCO ed è un sito di grande rilevanza. Una “navetta” ci attende per portarci alla base del sito. Il Vat Phu, in questa zona tempio si scrive Vat e non Wat, è un tempio situato nei pressi di Champasak, sulla sponda destra del Mekong. Il nome, in lingua Lao, significa Tempio della montagna, deriva dal fatto d'essere stato costruito sulle pendici del monte Kao. La montagna possedeva un particolare significato in antichità, in quanto, la particolare forma del suo picco, ricorda il lingam ovvero la forma fallica sotto cui viene spesso adorato il dio indù Shiva. Per
questo motivo, la montagna era chiamata, nelle antiche iscrizioni Khmer, Lingaparvata, ovvero Montagna del Lingam, ovvero Montagna del Cazzo 😂😂😂. Nell' XI secolo venne trasformato in un luogo di culto buddista. Il sito è molto interessante e merita di essere visitato, ma altresì, meriterebbe di non essere visitato. E qui vorrei sfogare il mio, concedetemelo, incazzo. Io non sono archeologo e non ho competenze in materia ma vedere un sito di tale importanza abbandonato all'incuria, mi fa adirare. Immondezza in ogni dove, la plastica regna sovrana, la merda di vacca pure, è un pascolo libero e le bestie gironzolando ovunque. Gli addetti al “patrimonio dell'UNESCO” sono invisibili, in compenso ci sono tante bancarelle di doni per Buddha o souvenir. Nessuno che si prenda la briga di ripulire,
veramente uno schifo. Scendiamo i gradini, non sono pochi, che ci hanno portato fino alla sommità del complesso; visita al piccolo museo e via. Due ore e mezza sono passate veloci e assolate, lo stomaco reclama. Ci rimettiamo in sella al prode destriero e ci incamminiamo sulla via di ritorno. A pochi km, di passaggio, c'è un Buddha incastonato tra due alberi. Ci fermiamo un po’, facciamo due foto e, oltre alla bellezza degli alberi, non c'è altro. Ajo’, via di qua. A circa una ventina di chilometri vediamo per caso (culo direi) un'insegna con scritto ristorante, stranamente in inglese. Non si vede dalla strada perché è sul fiume. Si tratta di tre grandi chiatte galleggianti,  la centrale, dove c’è l'ingresso, ha tavoli, sedie e tanta gente (chiassosa); quella di sinistra, un po più piccola, ha tavoli bassi, senza sedie e le persone siedono per terra su grandi stuoie,Japanese Style; l'altra
ancora, ospita cucina e bagni. Tutti gli scarichi, d'acqua e non solo, rigorosamente sul fiume. Ci accorgiamo di essere delle mosche bianche perché c’è solo gente locale. Diverse tavolate piene di gente che ci guarda un po sorpresa. Stanno festeggiando qualcosa ma non capiamo cosa. Sicuramente si tratta di persone abbastanza abbienti, lo si deduce dagli abiti che indossano e dalle macchine parcheggiate.
L'ambiente è festoso e bevono come spugne, birre a cascioni(casse piene), sia uomini che donne. La birra è a temperatura ambiente e quindi usano mettere ghiaccio dentro ai bicchieri e versarla dentro, è un uso molto diffuso quello di consumare così la birra, che addirittura bevono con la cannuccia; l'avevamo già visto, inorriditi, da altre parti del Laos. Tra risate, brindisi e chiasso dei commensali vicini, noi ordiniamo pesce. Pesce che portano già tagliato, fritto/grigliato accompagnato dal riso glutinoso, appiccicoso, che qui sostituisce il pane e difatti si spizzica con le mani e si mangia intriso nelle salsine o negli intingoli delle portate, esattamente come facciamo col pane. Per giusta informazione, si chiama glutinoso perché in latino  "gluten" significa colla, infatti è appiccicoso; il riso ( lo sanno bene i celiaci) NON contiene glutine. Una delle tavolate più vicina ci coinvolge e tra brindisi e karaoke, di cui sono patiti, la finiamo a divertirci con loro, che non parlano una parola di inglese, solo laotiano come hanno detto a Robi. Ci offrono la birra, la frutta; le donne vogliono fare le foto con me, ridono e sono estremamente cordiali e simpatici, vorrei
precisare che non sono ubriachi, solo felici e spensierati. Finito il pranzo festaiolo ci rimettiamo in cammino. Arrivati in albergo alle 15.30 circa ci rintaniamo in camera. Il caldo è terribile. Così per caso veniamo a sapere che nell'attico, un piano sopra al nostro, c'è la piscina: nooo, e ce ne possiamo privare? Messo il costume, preparate due tazze di caffè saliamo su: bellissimo. Delle sdraio ci aspettano, i teli sono in dotazione all'albergo. Tuffo ristoratore, caffè, blog e così staremo fino al fantastico tramonto che vedremo proprio da quassù. Alle 18.30 scendiamo in camera e tra doccia e riordino si arriva all'ora di cena. Si va alla ricerca di qualcosa di buono, facile da trovare qui. La giornata finisce così, tra storia, incaz…,risate e tramonto da ricordare.

6/7 Febbraio 2019. da Chiang Rai a Nong Khiaw


Se finora è stata una passeggiata ora inizia l’avventura: il Loas.
Da Chiang Rai passando da Luang Namta per Nong Khiaw.
Due giorni massacranti che congiungiamo per praticità. Le visite ai luoghi di interesse si riducono a zero. Però per chi ha il piacere di viaggiare e sa vedere, coglie differenze di luoghi, costumi, fisiognomica, anche dal finestrino di un minivan.
Ma partiamo dall'inizio. Arriviamo alla Bus Terminal 1 di Chiang Rai, siamo ancora in Thailandia. Ad attenderci il “bus” che ci porterà a Chiang Kong, frontiera con il Laos. I bus partono ogni mezz'ora, prezzo della corsa 20 Bath (circa 50 centesimi di euro) per percorrere 61Km in 2 ore e mezzo. Allucinante, siamo solo all'inizio. Perché bus tra virgolette, perché definire bus il mezzo che abbiamo preso è offendere tutta la categoria dei bus. Tanto per cominciare l'autista decide, in tutta autonomia, che si viaggia con le porte aperte, ma non solo, pure i finestrini anteriori, lato autista e opposto, sono aperti. Un freddo che non vi dico. La mattina e la sera qui ci sono circa 12 gradi se non meno, immaginate alle 7 del mattino con i finestrini e porte aperti. Gli chiediamo di chiudere la
porta anteriore e lui ridacchiando lo fa, tanto tutto il resto è aperto. Pensate che faccia così perché non ha freddo?? che anche gli altri passeggeri , tutta gente del posto, non patiscano il freddo? no, non è così. La gente che sale e scende è coperta fino al collo e lo stesso autista ha giubbotto, cappello e mano in tasca quando non gli serve per inserire le marce, a proposito, la leva delle marce è tutto un programma; distante un metro dall'autista una leva lunga che sembra staccarsi da un momento all'altro. Comunque superata la gelata, vi assicuro che ci sembrava di stare dentro una cella frigo per due ore, arriviamo alla
stazione di frontiera. Da quì, una motocicletta cassonata ci aspetta per trasportarci alla border line attraversando il famoso ponte dell'amicizia “Fourth Thai-Lao Frienship Bridge” che scavalca il magnifico Mekong. Costo 20 Bht a testa e ce ne sono a rotazione. Arriviamo in frontiera. C'è già un po di fila ma sembrano veloci. Dobbiamo compilare 2 moduli, quindi chi dovesse essere lì, li prenda prima e poi, magari in fila, li compili. Uno è lungo e somiglia ad un conto corrente postale, l'altro è la richiesta di visto in diverse
parti. Arrivati al front office, troverete un paio di ufficiali che chiacchierano e prendono i due moduli, una foto tessera (qualunque dimensione va bene), passaporto e 35 dollari americani a testa. Sbirciando velocemente il passaporto, prendono i moduli compilati senza controllare niente e ti fanno passare affianco. Altro ufficio che timbra il passaporto e te lo restituisce...bohhh!. Comunque veloci per fortuna. Siamo dall'altra parte. Ciao bellissima Thailandia, di nuovo Kabpkun, grazie di tutto. Sono le 10.30 e siamo in Loas, esattamente a Vieng Mai. Cambia la lingua, la gente, il senso di marcia su strada e la moneta: Kip laotiano, 10.000 Kip=1 euro (cambio attuale), oi oi la testa. OK torniamo al viaggio; dalla frontiera ci
dobbiamo spostare verso Bokeo per l'omonima  stazione degli “autobus”. Iniziamo subito a scoprire come sono i laotiani: non si presentano proprio bene. Facciamo il biglietto che costa 50.000 Kip (circa 5 euro) per due. A parte il fatto che non sanno una, dico, una parola di inglese, molto peggio dei birmani, non riescono ad interpretare neppure i gesti più semplici, compreso il segno di ore nell'orologio. Ridono o ti mandano a quel paese. Non sono assolutamente accoglienti né sorridenti. Con il biglietto in mano, senza sapere esattamente da chi andare, chiediamo ad un autista se è lui che ci porterà a Bokeo, stazione bus. Lui guarda il biglietto se lo porta via e ci fa cenno di  salire sul furgoncino già strapieno di turisti. Moltissimi francesi o comunque parlanti francese e qualcuno parlante inglese. Caricati gli zaini e noi, si va. E dove ci porta questo imbecille? al molo!! da dove partono quasi tutti i turisti per percorrere il Mekong in direzioni diverse ma comunque verso sud, tagliando molte delle tappe che invece vorremmo fare noi. Scendono tutti e l'autista porta giù anche i nostri zaini, noi lo guardiamo e gli facciamo cenni MOOOLTO esaustivi sul fatto che ha sbagliato e che noi abbiamo detto Stazione BUS, allora lui, che ha capito esattamente di aver sbagliato, non scusandosi né rimediando in nessun modo, ci dice di dargli i biglietti, quelli che ci aveva preso lui per farci salire sul camioncino. Noi con abbastanza veemenza, direi incazzo, gli diciamo che li ha presi lui e li ha lui. Lui fa no con la testa e con le mani, entra incavolato nel camioncino e se ne va. Ci lascia lì come due scemi, incavolati come belve.
Vabbè non possiamo perderci d'animo non possiamo far niente, purtroppo. Risolviamo con un altro tuk tuk e qualche euro in più. Siamo a Bokeo, 12:30, si parte, prezzo del biglietto 60.000 Kip a testa (6 euro), per la cronaca, c’è un’altra corsa alle 9 del mattino, per noi impensabile da prendere . Stavolta chi ci trasporta è un minivan, anche questo pieno in ogni ordine di posto. Il minivan conterrà forse tredici posti, ma l'autista  riempie pure i due posti affianco a lui. Si riparte, i chilometri da percorrere sono circa 190, sembrano pochi, ma con le strade piene di fossi, alcuni tratti sterrati, altri con lavori in corso e ancora tornanti ripidissimi, dove il minivan arranca a venti all'ora, il risultato è una
media di percorrenza di 40 Km orari. Il viaggio diventa lunghissimo. Il minivan è scomodissimo, siamo strettissimi in sedili minuscoli e la testa che barcolla a destra e a
sinistra. Per fortuna c’è un paesaggio bellissimo, foresta da entrambi le parti della strada, straordinario. La stanchezza ci assale e la testa inizia a ciondolare, la schiena reclama e il di dietro pure. Alle quattro siamo a destinazione. Siamo stremati, attorno alla stazione dei bus, dove è tutto su sterrato, quattro case, quattro baracche, due distributori di benzina e due bancomat, di cui uno fuori servizio; benvenuti a Luang Namtha Bus Station. Ci guardiamo intorno sconfortati, il Laos non è sicuramente un paese che accoglie il turista a braccia aperte, almeno per ora. Proviamo a chiedere qualche informazione, le uniche cose che sanno dire in inglese sono i prezzi dei tuk tuk, per il resto zero assoluto. Addirittura un ragazzo, grandicello, e' scappato; saremo mica così brutti !? Dobbiamo trovare dove dormire, possibilmente vicino alla stazione dei bus, perché domani mattina vorremmo andare via da qui. Un cartello di fronte: “Guesthouse”. Entriamo e chiediamo ad una specie di orso con felpone e cappuccio il prezzo e visione della camera. Lui al primo “Hello” tira fuori un cartello con scritto in inglese: room 1 day Kip 70.000. Ok vediamola: è squallida, il bagno fa schifo ma il letto sembra decente, per una notte potrebbe andare (prezzo 70000 Kip = 7 euro circa). Depositiamo i bagagli e andiamo a cercare qualcosa da mangiare, abbiamo mangiato solamente una banana e qualche wafer in tutto il giorno, siamo affamati. Lo sconforto sale di più, ci sono tre baracche all'aperto con una temperatura che la sera necessita di piumino. Pensare di mangiare all'aperto ci angoscia ma guardiamo cosa
propongono i “menù”. Due con menù incomprensibili, nel terzo ci disgusta la visione della carne verdognola e lasciamo perdere. Risultato, compriamo, nella stessa guesthouse di alloggio, due barattoli di noodles, quelli che si vendono anche nei nostri supermercati, li riempiamo di acqua calda e li mangiamo in camera, ci sembrano la miglior cosa (comunque sono davvero mangiabili). Un'altra sorpresa l'abbiamo avuta quando ci siamo seduti sul letto per mangiare la “cena”; non c’è materasso! solo un tavolato con una coperta sopra e un lenzuolo, è durissimo, si sono fatte le sette di sera, la camera è freddissima e non esiste riscaldamento. Senza neanche il coraggio di lavarci, alle 20.00 siamo a letto vestiti, Roberta addirittura con il piumino.  Buonanotte, si fa per dire…..passerà.
La mattina alle 6.30 siamo già svegli e dolenti, usciamo quasi subito per fare i biglietti per l'altro transfert che ci aspetta, quello per Nong Khiaw, dove ci si può probabilmente rilassare un pochino tra affluenti del Mekong, grotte e foresta.
C'è tanta nebbia e la temperatura è davvero bassa. FRIUSUUU. Qui c'è una notevole escursione termica tra giorno e notte.
Ovviamente la nostra colazione sarà un caffè americano, grazie alle scorte di bustine di nescafe’ che abbiamo sempre con noi e all'acqua calda del bollitore della guesthouse. Fatti i biglietti, siamo i primi. Costo 100.000 kip a testa (tot. 20 euro). Partiamo alle 9.00, unica
partenza giornaliera. Anche qui un minivan, più confortevole del precedente ma pur sempre piccolino e le ore di viaggio dovrebbero essere sei. Puntuale ma sovraccarico di turisti, parte alle 9.00. Il viaggio comprende diverse soste: dopo due ore per toilette; dopo altre due per mezz'ora di pranzo e poi diverse fermate che fa l’autista per sue esigenze o semplicemente per dare passaggi ad alcuni suoi conterranei tra i villaggi. Quando ci fermiamo per il pranzo, idem come ieri, due baracche polverose in cui c'era solo roba incomprensibile, già cotta oppure sulla brace. Noi, affamati come siamo,
non disdegnano del pollo alla brace e del fegato su spiedini, non sappiamo di che animale, né vogliamo saperlo. Era buono. Con le mani sporche, toccando soldi e qualunque altra cosa (qui non ci sono i lavandini con bagno e sapone, al massimo un bagno turco e stop) mangiamo e facciamo finta che quella carne non sia quella verde che vediamo sempre nei mercati; chissà l'aviaria o altro se sono in agguato. Un po’ di carta igienica per pulirsi, spesso si usa così, già visto da altre parti, e si mangia. Pazienza, ormai è fatta. Comunque, tornando al trasferimento, alla fine, dopo circa sette ore, arriviamo
a destinazione. Il nostro alloggio è molto carino, sta sul fiume Nam Ou, un affluente del Mekong. La visuale panoramica dal balcone è meravigliosa e ci appaga di tutto il disagio del viaggio. Ma indovinate cosa facciamo subito??? una mega doccia interminabile. Stanchi ma ristorati, andiamo a mangiare qui vicino. Non c'è praticamente niente. Poche case due localini/baracca. Oggi mangiamo dove si dice che si mangi molto bene: Mama Laos. Ci accoglie una ragazzina che si spaventa quando chiediamo il menù e scappa dicendo “no english”. Intravediamo all'interno della casa/cucina una signora anziana (forse la cuoca), sdraiata su un materasso, avvolta da coperte, che guarda la tv; ci fa cenno di
sederci fuori e aspettare. Ok, aspettiamo. Dei francesi molto carini ci dicono che questo è l'andazzo normale ma che vale la pena aspettare perché la cucina è buonissima. I tavoli sono rigorosamente di plastica, con tovaglia di plastica insudiciata, le posate dentro un contenitore alla mercé di ogni cosa, salse e salsine aperte e salviette di carta per pulirsi, come in ogni baracca che si rispetti, sempre così anche in Myanmar e nelle baracche su strada in Thailandia . Arriva una ragazza molto carina che parla un pochino di inglese e riusciamo a farci portare tre pietanze: una tipica del Laos, una con germogli di bambù carne e verdure e l'altra solo di verdure cotte che qui come in Birmania definiscono “fried”, fritte, ma sono spadellate. Il piatto laotiano era una zuppa di noodles laotiani, praticamente spaghettini di riso, verdure e carne, un brodo buonissimo così come tutto il resto e siccome la temperatura è scesa, ci sta proprio bene. Spesa “cena” 50.000 Kip (5 euro) compresa birra “Laosbeer”, buona, buona, buona. Ok stop, rientriamo in alloggio, nella camera confortevole e pronta ad accoglierci per la nanna.