"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"
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5 marzo 2019. Lettera al Laos

Caro Laos
Caro Laos ti lasciamo, senza grandi rimpianti e con un po’ di amaro in bocca. L'amaro di chi aveva aspettative troppo alte nei tuoi confronti. L'amaro di chi aveva letto delle tue bellezze o si era fatto convincere da pseudo viaggiatori che, avendo 15 o 20 giorni di ferie l'anno, solo perché sono in vacanza, vedono tutto bello; probabilmente perché hanno tutto organizzato con i tour operators che li portano dove tutti  sorridono, basta pagare.
Ma va bene così, siamo felici di averti  conosciuto, perché crediamo di poterci permettere queste osservazioni, osservazioni spesso condivise da viaggiatori incontrati nel nostro cammino. Di te salviamo il Mekong con i suoi affluenti e la vita intorno ad essi; le montagne a forma di cupoloni (come quelle che disegnano i bambini) ricoperte di alberi maestosi; le grotte meravigliose; la vegetazione della foresta; Luang Prabang; il COPE di Vientiane; le cascate spettacolari della piana di Bolaven e le 4000 isole; lo sticky rice(il riso glutinoso), il pane e il caffè. Buttiamo via: l'accidia, si,si, il vizio dell'inoperosita’, ce l'hai nel DNA; i trasporti, l'incuria del tuo patrimonio, delle tue bellezze, la maleducazione nei confronti dei turisti, il mancato rispetto per essi e, per finire, la tua gente. Nessuno può osare dire che questo non sia un popolo ostile, antipatico fino al midollo. Non è questione di essere poveri, perché non lo sono nell'accezione comune del termine. Non sono costretti a chiedere l'elemosina e nessuno muore di fame. Vivono del loro orticello delle loro galline e si accontentano così. Paese martoriato da saccheggi, bombardamenti, lotte clandestine, depredato da tanti popoli “civili”, sofferente e piegato, non hai però alcuna giustificazione nel non volerti risollevare. Il tuo governo social comunista è il dramma più grande che hai ma ti sta bene così. Trent’anni fa gli australiani hanno voluto foraggiare questo governo con contributi, per aprirti al turismo e tu, che fai? Ti mangi i soldi e una parte la devolvi al “turismo”. Prendi (costringi) le persone dal loro giaciglio domestico, dalla polvere sulla quale e con la quale convivono, fai indossare loro una divisa, li catapulti negli alberghi nuovi di zecca o in qualche “ristorantino/bettola ed ecco a voi, persone scazzate, ignorantissime e soprattutto ostili perché non hanno voglia di fare niente tanto meno accogliere queste rotture di balle di scemi che vengono a camminare in montagna, che fanno attività all'aperto, che ridono e sono felici di incontrarti. A loro bastavano il telefonino, al quale sono sempre attaccati, peggio dei nostri adolescenti, la tv e il motorino; a loro non preoccupa di essere parte del mondo e di perdere anche la minima opportunità di evolversi; hanno internet ma mai lo usassero per vedere o leggere cosa si fa e come ci si comporta dall'altra parte del mondo. Stiano lì allora, da soli, isolati dal resto del pianeta, sommersi di immondizia e plastica; implodi in te stesso caro Laos, perché per quanto bello tu possa essere, al mondo ci sono bellezze ben più degne di essere visitate e ci sono meraviglie in cui è più giustificabile vedere speso il proprio denaro o semplicemente le proprie ferie annuali.
Caro Laos, ti salutiamo, SABAIDI (Sabaidee) e ti ringraziamo, KOPTAI (non abbiamo capito come si scrive) ; ti ringraziamo perché ci hai insegnato come non si deve essere, come non ci si deve comportare nell'incontrare e accogliere il mondo.

Approfondimento, per capire:

“ Dopo il crollo del blocco sovietico ebbe inizio una parziale liberalizzazione economica e politica. Dal 1992 il Paese si è aperto al turismo e nel 1994, grazie a finanziamenti australiani, è stato costruito il primo ponte sul Mekong “il Ponte dell’Amicizia thai-lao”, che unisce Laos e Thailandia in corrispondenza di Vientiane. È il primo ponte costruito sul Mekong in tutta l'Indocina e negli anni seguenti ne furono costruiti altri nel paese. Nel 1998 il Laos entrò nell'ASEAN, l'organismo che riunisce gli Stati del sudest asiatico. Attorno al 2000, pur mantenendo l'organizzazione politica degli anni precedenti, il paese si aprì all'economia di mercato e vennero presi nuovi sostanziosi accordi commerciali con l'estero, in particolare con la Cina e la Thailandia, le cui aziende ed istituzioni bancarie hanno fatto da allora grandi investimenti in Laos, contribuendo al risollevamento dell'economia ed alla stabilizzazione della valuta. L'attuale Presidente e capo del partito è Choummaly Sayasone.

Malgrado l'apertura democratica iniziata negli anni ottanta, la corruzione degli impiegati statali e la mancanza di diritti civili continuano ad affliggere il Paese. Secondo l'indagine effettuata nel 2011 dall'ONG statunitense Freedom House, il Laos occupava quell'anno il 154º posto, su 178 Paesi esaminati, per l'indice di corruzione. Le leggi emanate per sradicare tale fenomeno vengono raramente applicate. Anche la libertà di stampa è molto limitata e tutti i mass media nazionali sono di proprietà dello Stato. La libertà religiosa è ammessa ma non è possibile per le fedi minoritarie fare proseliti; anche i membri della locale sangha, la comunità di ecclesiastici del Buddhismo Theravada (la fede religiosa della stragrande maggioranza dei laotiani), sono sottoposti al controllo statale.

La libertà accademica è a sua volta limitata e gli insegnanti sono posti sotto il controllo delle autorità. In questo campo la situazione è migliorata con l'assunzione di docenti stranieri. Gli studenti che hanno accesso all'istruzione all'estero vengono selezionati dal governo. Il controllo dello Stato sui cittadini si è fatto meno rigido, ma sono tuttora vietate le assemblee non autorizzate. Dopo che il governo ha firmato nel 2009 la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, si è creata una rete di ONG, in prevalenza straniere, alle quali è proibito affrontare temi politici. I sindacati sono tutti emanazioni dello Stato, lo sciopero è legale ma viene fatto raramente.

La magistratura è sotto il controllo del partito unico e i detenuti soffrono pesanti condizioni di vita. Le forze dell'ordine spesso mettono agli arresti cittadini in modo illegale. Ha fatto scalpore la vicenda del laotiano Sombath Somphone, un operatore nel settore sociale di fama mondiale scomparso misteriosamente nel dicembre 2012, vicenda alla quale il governo si è dichiarato estraneo. Gli appelli da parte della comunità internazionale al governo laotiano per il ritrovamento di Sombath non hanno dato alcun frutto.”

5 marzo 2019. Da Don Khone a Siaem Reap


La giornata di oggi ci vedrà protagonisti in un trasferimento di quelli
impegnativi. Oltre a cambiare “città”, cambieremo pure nazione. Oggi entriamo in Cambogia e lasciamo il Laos che ci ha ospitato, non tanto volentieri, per un mese, l'impressione è questa. Partiamo dal moletto di Don Khone, ci aspettano 400Km circa da fare. Giusto il tempo di fare colazione e la barca viene a prenderci, carica altri passeggeri e alle 8:00 salpiamo. Da questa isoletta arriviamo a Ban Nakasang. Abbiamo fatto i biglietti con AVT, un agenzia che, sulla carta, dovrebbe essere un po più affidabile rispetto le altre.
Prezzo del biglietto da Don Khone a Siaem Reap, 28€ a testa. A proposito, a Don Khon non ci sono ATM (bancomat), quindi prelevate prima di arrivare alle 4000 isole. Tornando al nostro trasferimento, dopo circa 30 minuti di navigazione in barca fatiscente, come tutto del resto, attracchiamo a Ban Nakasong (qui ci sono i bancomat); ci spostiamo per qualche centinaio di metri, un minivan ci attende, pensavamo di avere un servizio un po migliore, non è così. Minivan strapieno; per far salire un passeggero in avanzo ci dobbiamo stringere e per mezz'ora questa sarà la nostra situazione “stretti stretti”. Siamo al confine con la Cambogia.
Per uscire dal Laos troverete degli sportelli, a destra del passaggio obbligatorio, in cui siede la polizia di frontiera. Sono militari scazzatissimi e poco cortesi che hanno, ormai, la consolidata consuetudine di rubare 2 dollari a testa, così, come tangente per poter uscire dal paese. Tutti lo sanno, pochissimi protestano, tutti siamo totalmente impotenti, qui non si scherza. Messi due timbri sul passaporto dati i due dollari a cranio, puoi uscire. Attenzione: vi dobbiamo raccomandare, purtroppo, di fare questo passaggio con questi farabutti di militari, perché, di fronte a questi, sul lato sinistro, ci sono alcuni civili, in apparenza molto gentili, che ti invitano ad affidarti a loro per le procedure di passaggio in frontiera. Questi ti faranno tutto ma facendoti pagare almeno 5 dollari a testa in più. Tutto per due moduli semplicissimi da compilare all'ingresso in Cambogia. Il furto, che non riguarda la somma ma ovviamente il gesto, quindi, è da entrambi i lati.
Lasciato il check point laotiano, facciamo qualche centinaio di metri in una  una landa desolata, non c'è un cane, nel vero senso della parola. Arriamo in prossimità di due edifici pacchiani, simili a pagode, qualcuno ci indica di entrare in uno dei due. Siamo totalmente soli perché il resto della comitiva del minivan probabilmente si è fatta abbindolare da quegli imbroglioni della frontiera in Laos. Entriamo in questo specie di grande ufficio con diversi sportelli. All'interno ci sono anche qui dei militari, faccia cupa, poco accoglienti, poco disponibili. Ci indicano il primo modulo da compilare, molto semplice. Primo sportello: consegna di tutto ovvero una fototessera, 35 dollari, passaporto, modulo compilato. Ti prendono le impronte digitali, ti fanno una foto (non bastava la fototessera) e poi passi allo sportello 2, affianco. In questo, il militare timbra il passaporto. Sportello 3: compilizione e consegna di un altro modulo, simile al primo. 4 sportello ti danno l'ok e ti lasciano andare.
Abbiamo impiegato pochissimo ed è andata bene. Sempre a piedi e sotto il sole, usciamo dal gate e arriviamo all'ufficio AVT: una baracca nella polvere, che vende due biscotti e cucina qualcosa da mangiare qualora si avesse fame. Sono circa le 10.00 e ci comunicano che il bus, anzi minivan (viaggiano solo minivan tra i confini), partirà alle 11.30. Caldo, polvere e attesa. Arrivano anche gli altri dispersi, alle 12.00 si parte. Minivan fatiscente, aria condizionata poco efficiente e con finestini chiusi per la polvere. Fortunatamente il viaggio è “solo’’ di mezz'ora. Stop alla cittadina di Stung Treng. Qui ne vediamo delle belle; turisti in attesa come noi, tutti ammassati in un altro pseudo ufficio ristorante dove dovrebbero essere smistati i passeggeri per le due mete: Siem Reap o la capitale Phnom Penh. Nel frattempo gente del posto che mangia insetti come le api il miele, graditissime le blatte, alle quali tolgono prima le zampette poi giù tutto in un boccone, sgranocchia e vai😱. Alle 14.00, con un'altro minivan leggermente decente, si parte finalmente: destinazione Siem Reap, circa 5 ore di viaggio. Le ore saranno 6; dentro il minivan l'aria condizionata non funziona bene ed è come fare la sauna. Una tappa per i bisogni e per sgranchire le gambe e via di nuovo.
Stranamente qui gli autisti corrono come matti. Assistiamo a sorpassi con sfioro e ci cag… spesso; Aiuto. Il nostro primo tramonto in Cambogia lo vediamo dal finestrino del minivan. Arriviamo sani e salvi alle 19.00. Ci fanno scendere in prossimità di un ufficio dove dei tuk tuk dell'agenzia AVT, gratuitamente, ti accompagnano all'alloggio prenotato, buon servizio. Ovviamente il conducente del tuk tuk si propone come autista e guida per i giorni del tuo soggiorno, per la modica cifra di 20 o più dollari. Ci sembra di essere tornati in Italia con i prezzi dei servizi. Arrivati in hotel, stremati, dopo una doccia da squoio, andiamo a cercare qualcosa da mangiare, to’ una pizzeria con forno a legna. Secondo voi? Era ottima. Ovviamente facciamo conoscenza con la nostra nuova bevanda: la Ankgor beer, buona buona.

28 febbraio 2019. 4000 isole - Don Khon


Viste le dimensioni dell'isola oggi abbiamo in programma: tour in
bicicletta. Cercheremo alcuni punti già individuati sulla carta. Queste isole sono famose, oltre che per essere tante, anche per le rapide e cascatelle che il Mekong crea; proprio alcune di queste rientrano nei nostri obiettivi odierni. Andiamo a prendere le bici che terremo tutto il giorno, costo del noleggio 10.000 Kips l’una; siamo pronti a partire. Andiamo nella costa orientale di Don Khon, che non è un prete, bensì l'isola che ci ospita. Percorriamo qualche kilometro in un sentiero sconnesso e con molte pietre, ma i muscoli ricordano ancora come si pedala e andiamo tranquilli. La nostra pedalata termina nei pressi di un ponte sospeso che attraversa il fiume. Parcheggiamo e proseguiamo a piedi. Oltre il ponte, seguiamo le tracce di un piccolo sentiero, che ci guida fino alle
rapide più importanti. Lo spettacolo naturalistico é veramente bello, il GPS le menziona come Khane Paksy Waterfall. Cerchiamo i punti più suggestivi, anche fotograficamente, e, per non farci mancare nulla, raggiungiamo una piccola spiaggia poco più a sud. La sabbia è
ricchissima di un minerale che riflette la luce come fossero frammenti microscopici di specchio, prendono la scena degli alberi grossissimi che mostrano le loro radici nude. Sono fotogrammi che rimarranno impressi nei nostri ricordi. Si rientra; raggiunto nuovamente il ponte ci rimpossessiamo delle nostre bici e si parte. Per il rientro decidiamo di percorrere un'altra “stradina”, alternativa, che fiancheggia il fiume.
Attraversiamo qualche baracca sparsa lungo il sentiero, assistendo a spaccati di vita quotidiana che sono il sale che condisce il viaggio. Certe situazioni spiegano l'indole poco ospitale dei laotiani. Questo che sto affermando è un pensiero covato e riflettuto a lungo prima di permettermi di esprimerlo: non abbiamo trovato, girando da nord a sud, questa indole ospitale e sorridente, tanto decantata, del popolo laotiano. Ti sorridono e sono cortesi, il personale dei grandi alberghi e quelli che ti devono vendere qualcosa, altrimenti sei un essere inesistente. Penso che le istituzioni abbiano violentato questa gente, imponendo loro di accettare il turista, ma a loro del turismo, almeno alla maggior parte, “non gliene può fregar di meno”. Sono persone semplici, alle quali piace lavorare il meno possibile, mangiare e dormire, tutto il resto fanculo. Alcune volte entri in piccoli negozietti, dove il gestore è coricato per terra che guarda TV o telefonino e non ti degna neppure di un sguardo. Della serie: mi devo scomodare per te, se vuoi  stare, aspetta i miei ritmi (normalmente biblici). Siamo nuovamente nell'agglomerato principale. Tutte le strade sono in sterrato, fa eccezione un pezzetto di un centinaio di metri che è in cemento, posso immaginare nel periodo delle piogge, fango in ogni dove.
Certo non si può dire che abbiano una qualità di vita eccelsa; ma chi si accontenta gode. Troviamo un piccolo ristorantino sull'argine del fiume, il sole è caldissimo, ci rifocilliamo all'ombra con un paninozzo al tonno e un bicchiere di birra, forse due o tre, booh ho perso il conto 😂🤣😂. Forse è meglio parcheggiare le bici e rilassarsi un'oretta in camera con condizionatore a manetta. Così facciamo. Tra una cosa e un'altra si è fatta sera. Cenetta in un ristorantino di un carino eccezionale, per il Laos, “The Garden”, c'è un cuoco sopraffino. Passeggiatina e si rientra in camera. È ora di scrivere qualche riga nel blog e salutare amici e parenti nei social. Buonanotte.

27 febbraio 2019. da Pakse a Don Khon

Ore 7.00 sveglia. Dopo colazione e check-out hotel, si riparte. Strano
ma vero, il tuk tuk arriva puntualmente alle 8.10. Dobbiamo essere alla stazione bus entro le 8.30.  Durante il tragitto di qualche km carichiamo altre 4 persone con relativo bagaglio. Fortunatamente arriviamo puntuali per la partenza delle 8.30 in bus. Si parte. Solita storia, l'autista si ferma per una commissione in un negozio di dolciumi e poi riparte. Dopo un'ora, altro stop; sarebbe lo stop di cortesia per far fare  i bisogni e le compere ai turisti trasportati ma non ci illudiamo; si è fermato per 10 minuti con questa scusa ma in realtà doveva scaricare ciò che aveva comprato nel negozio di dolciumi di prima, scatole di qualcosa che aveva stipato nel portabagagli. Comunque, meno male che il punto di imbarco per le isole, Ban Nakasong, è vicino. Solo due ore di bus e ci siamo. È un piccolo
villaggio  il cui molo è punto di arrivo e partenza da e per le isole. Le 4000 isole, in realtà, sono un arcipelago che si chiama Si Phan Don e se anche non è composto da 4000 isole, sono comunque tante.  Il fiume Makong si dirama tra esse e quando è in piena ne sommerge tante. Alcune ne sono esenti e sono stabilmente abitate. In esse ci sono villaggi e scuole ma anche molti resort e attività ricettive e ricreative. Le tre
isole più rinomate, perché più attrezzate di tutto, sono: Don Khong, Don Det e Don Khone, dove prendiamo alloggio noi. La prima è la più grande, si parla di 18 km per 8, ed è anche la più tranquilla, fin troppo. Si dice non ci sia quasi niente se non qualche bungalows e locande ristorante. La seconda è di fronte alla nostra, sono dirimpettaie e collegate da un ponte. Si dice sia la più mondana e "hippie", dove vanno soprattutto i giovani a "" rilassarsi"". La nostra, Don Khone, è una via di mezzo. Da qui si organizzano diverse escursioni e ci sono zone più o meno frequentate. Don Khone (Khon) è ben organizzata e accogliente. Ovviamente i resort, guesthouse e alberghetti sono bungalow di legno o strutture in muratura abbastanza spartane ma molto confortevoli. 
Quasi tutte si affacciano sul fiume, dove la visuale è incantevole. Le stradine interne sono sabbiose e sterrate. Ci sono due scuole e diversi abitanti residenti. Biciclette e motorini non mancano mai. La cosa più divertente è vedere i bambini guidare gli scooter; 125 cc condotti con nonchalance da piccolini, più o meno di dieci anni. Qui, come in tutte le zone da noi toccate, il motorino non è una conquista o un premio ambito, è semplicemente il mezzo per spostarsi, fare commissioni o andare a scuola. Purtroppo l'inquinamento è dilagante ma è un capitolo troppo complesso da toccare. Ma stiamo in tema isola:  ci piace questo posto qua.
Unico "neo" il mio amatissimo caldo; mai chiederò il divorzio, dovessi boccheggiare e morire bollita, però, è davvero quasi al limite di sopportazione, soprattutto perché non c'è il mare dove potersi refrigerare, motivo per cui si trovano  diverse piscine, da noi spesso disdegnate prima d'ora. Nel fiume è meglio evitare di mettere un piede, non è proprio invitante, è marrone. Per giusta informazione, per questo tragitto, dall'hotel di Pakse all'isola, tutto compreso, quindi anche barca dal molo di Nakasong a Don Khone, abbiamo speso 65.000 Kips a testa (6.50 euro) e impiegato 2 ore e mezza. La sera, dopo aver visto come organizzarsi per le prossime giornate, ceniamo in uno dei tanti ristorantini, ma la sorpresa è che c'è un ristorantino indiano, indiano, indiano! Noi adoriamo la cucina indiana e ci tuffiamo dentro. Io prendo un menù vegetariano (troppa carne fin'ora), Gigi il "carniano"😂. Chi conosce la cucina indiana sa di cosa parlo, troppo buona. Alle 21.00 siamo già rientrati dell'alloggio. Qui non si fa vita mondana. La fanno le zanzare per noi, purtroppo la malaria è in agguato. Speriamo bene😐

N.B. SULLE ISOLE NON CI SONO ATM. POTETE PRELEVARE SOLO A BAN NAKASONG!!!!

26 febbraio 2019. Bolaven Pateau - Pakse

Ultimo giorno a Pakse. Dedicheremo la giornata ad una delle maggiori attrazioni della provincia del Champasak, il tavoliere di Bolaven, a circa 40 km da Pakse in direzione Paksong, cittadina che sta a 1300 metri di altitudine. Armati di scooter ci prepariamo ai 40 km da fare. La giornata è meno ventosa ma la foschia mattutina è sempre presente, la
temperatura è ottima, caldo sopportabile, si parte. La strada per questa piana, che sta ad est della città, è assolutamente ben percorribile, nuova e larga. Fiancheggiamo diverse scuole primarie e villaggi di cui uno, in particolare, specializzato nella lavorazione del bambù intrecciato da cui si ricavano manufatti di uso quotidiano, dalle gabbie per i volatili ai contenitori per cuocere il riso. Poco prima di arrivare alla meta prevista, ci fermiamo in una delle tante piantagioni di caffè con annesso il loggiato bar.
La Piana del Bolaven è nota per la presenza di cascate e soprattutto per le coltivazioni del tè e del caffè, uno dei più cari al mondo. Ci sono coltivazioni di Arabica e di Robusta dappertutto. All'interno di questa piantagione, in cui ci siamo fermati, percorriamo diversi centinaia di metri tra le coltivazioni e rimaniamo particolarmente affascinati dalle piante dei due aromi. La Robusta è bellissima, ha le foglie di un verde brillante, grandi, ovali, morbide e pendenti, col bordo leggermente ricciato. L'Arabica invece sembra una pianta nostrana, molto
comune, con foglie più piccole e rigide al tatto e di un verde più scuro. Tra i rami e tra le foglie ci sono i chicchi freschi, delle bacche rosse. Queste, una volta diventate nere, vengono colte e lasciate essiccare al sole. Una volta essicate si sbucciano e viene fuori il chicco, che però è chiaro; sembra mezza arachide. Questi chicchi vengono poi tostati e sono pronti per la macinazione. Il tè invece ha una procedura di lavaggio foglie, macerazione, ossidazione ed essiccazione (non ci hanno spiegato niente, tutto dedotto dai disegni sulle lavagnette). Ci siamo dati al caffè ovviamente; abbiamo assaggiato un espresso Arabica e uno Robusta (1 euro ognuno, come stare a casa). Il primo era esattamente come il nostro caffè del bar, niente di rilevante, leggermente asprigno e forte; il secondo era leggerissimo e quasi insapore. Insomma,
tra le varietà di caffè, il sapore dipende da tostatura e capacità di preparazione, quindi solo un grande intenditore potrebbe saper notare e valutare qualità e differenze sostanziali. Continuando il cammino e arriviamo alla nostra tappa: la cascata più alta che c'è, la Tad Fane. Parcheggio motorino 5000 Kips, ingresso 10.000 Kips a testa. Un breve tragitto tra la vegetazione della foresta dove sentiamo un ... “antifurto”; è un insetto simile ad una falena che 'grida' e fa un rumore pazzesco, assordante. È presente un po dappertutto sulle piante della zona e purtroppo vola via non appena ti avvicini. Per quanto riguarda la cascata invece, in verità sono due cascate gemelle, quasi speculari, di due corsi d'acqua, che si tuffano insieme per fare un salto di 120 metri. Molto belle e suggestive. Torniamo in sella e continuiamo: altra cascata, la Tad Yung, più piccola della prima ma molto carina, costo di ingresso uguale alla prima. All'ingresso, tra le bancarelle di souvenirs, vediamo delle tessitrici che lavorano su un telaio “portatile”. Stanno sedute in terra e lo trattengono con piedi e mani. Ancor più singolare la presenza di donne di etnia Kathu, che vivono in quest'area;
piccolissime di stazza, vestite con abiti tipici laotiani e dotate di espansore in avorio ai lobi delle orecchie, sorridenti e pronte a farsi fotografare. Superato l'ingresso percorriamo un sentiero tra la foresta e scendiamo ad ammirare la cascata. Foto di rito e ripartenza per l'ultima cascata che visiteremo, una cascata minore ma altrettanto suggestiva, la Tham Champee, il costo d'ingresso cambia, tutto 5000 Kips (parcheggio ei nostri due ingressi). Sono le 14.30 e decidiamo di rientrare con tranquillità a Pakse. Ci aspettano i 40 km da
percorrere. Arrivati ​​nei pressi della città ci rendiamo conto della differenza di clima dovuta all'altitudine; qui c'è un caldo boia. Gironzoliamo alla ricerca di qualcosa da mangiare ma non abbiamo voglia di niente di caldo. I gelati qui scarseggiano e la colazione abbondante ci sostiene ancora, quindi direzione hotel, piscina e relax fino a sera. Dopo la sacrosanta doccia si va al Daolin a gustare la loro ottima cucina. Domani trasferimento per l'ultima tappa del nostro viaggio in Laos, le 4000 isole.

6/7 Febbraio 2019. da Chiang Rai a Nong Khiaw


Se finora è stata una passeggiata ora inizia l’avventura: il Loas.
Da Chiang Rai passando da Luang Namta per Nong Khiaw.
Due giorni massacranti che congiungiamo per praticità. Le visite ai luoghi di interesse si riducono a zero. Però per chi ha il piacere di viaggiare e sa vedere, coglie differenze di luoghi, costumi, fisiognomica, anche dal finestrino di un minivan.
Ma partiamo dall'inizio. Arriviamo alla Bus Terminal 1 di Chiang Rai, siamo ancora in Thailandia. Ad attenderci il “bus” che ci porterà a Chiang Kong, frontiera con il Laos. I bus partono ogni mezz'ora, prezzo della corsa 20 Bath (circa 50 centesimi di euro) per percorrere 61Km in 2 ore e mezzo. Allucinante, siamo solo all'inizio. Perché bus tra virgolette, perché definire bus il mezzo che abbiamo preso è offendere tutta la categoria dei bus. Tanto per cominciare l'autista decide, in tutta autonomia, che si viaggia con le porte aperte, ma non solo, pure i finestrini anteriori, lato autista e opposto, sono aperti. Un freddo che non vi dico. La mattina e la sera qui ci sono circa 12 gradi se non meno, immaginate alle 7 del mattino con i finestrini e porte aperti. Gli chiediamo di chiudere la
porta anteriore e lui ridacchiando lo fa, tanto tutto il resto è aperto. Pensate che faccia così perché non ha freddo?? che anche gli altri passeggeri , tutta gente del posto, non patiscano il freddo? no, non è così. La gente che sale e scende è coperta fino al collo e lo stesso autista ha giubbotto, cappello e mano in tasca quando non gli serve per inserire le marce, a proposito, la leva delle marce è tutto un programma; distante un metro dall'autista una leva lunga che sembra staccarsi da un momento all'altro. Comunque superata la gelata, vi assicuro che ci sembrava di stare dentro una cella frigo per due ore, arriviamo alla
stazione di frontiera. Da quì, una motocicletta cassonata ci aspetta per trasportarci alla border line attraversando il famoso ponte dell'amicizia “Fourth Thai-Lao Frienship Bridge” che scavalca il magnifico Mekong. Costo 20 Bht a testa e ce ne sono a rotazione. Arriviamo in frontiera. C'è già un po di fila ma sembrano veloci. Dobbiamo compilare 2 moduli, quindi chi dovesse essere lì, li prenda prima e poi, magari in fila, li compili. Uno è lungo e somiglia ad un conto corrente postale, l'altro è la richiesta di visto in diverse
parti. Arrivati al front office, troverete un paio di ufficiali che chiacchierano e prendono i due moduli, una foto tessera (qualunque dimensione va bene), passaporto e 35 dollari americani a testa. Sbirciando velocemente il passaporto, prendono i moduli compilati senza controllare niente e ti fanno passare affianco. Altro ufficio che timbra il passaporto e te lo restituisce...bohhh!. Comunque veloci per fortuna. Siamo dall'altra parte. Ciao bellissima Thailandia, di nuovo Kabpkun, grazie di tutto. Sono le 10.30 e siamo in Loas, esattamente a Vieng Mai. Cambia la lingua, la gente, il senso di marcia su strada e la moneta: Kip laotiano, 10.000 Kip=1 euro (cambio attuale), oi oi la testa. OK torniamo al viaggio; dalla frontiera ci
dobbiamo spostare verso Bokeo per l'omonima  stazione degli “autobus”. Iniziamo subito a scoprire come sono i laotiani: non si presentano proprio bene. Facciamo il biglietto che costa 50.000 Kip (circa 5 euro) per due. A parte il fatto che non sanno una, dico, una parola di inglese, molto peggio dei birmani, non riescono ad interpretare neppure i gesti più semplici, compreso il segno di ore nell'orologio. Ridono o ti mandano a quel paese. Non sono assolutamente accoglienti né sorridenti. Con il biglietto in mano, senza sapere esattamente da chi andare, chiediamo ad un autista se è lui che ci porterà a Bokeo, stazione bus. Lui guarda il biglietto se lo porta via e ci fa cenno di  salire sul furgoncino già strapieno di turisti. Moltissimi francesi o comunque parlanti francese e qualcuno parlante inglese. Caricati gli zaini e noi, si va. E dove ci porta questo imbecille? al molo!! da dove partono quasi tutti i turisti per percorrere il Mekong in direzioni diverse ma comunque verso sud, tagliando molte delle tappe che invece vorremmo fare noi. Scendono tutti e l'autista porta giù anche i nostri zaini, noi lo guardiamo e gli facciamo cenni MOOOLTO esaustivi sul fatto che ha sbagliato e che noi abbiamo detto Stazione BUS, allora lui, che ha capito esattamente di aver sbagliato, non scusandosi né rimediando in nessun modo, ci dice di dargli i biglietti, quelli che ci aveva preso lui per farci salire sul camioncino. Noi con abbastanza veemenza, direi incazzo, gli diciamo che li ha presi lui e li ha lui. Lui fa no con la testa e con le mani, entra incavolato nel camioncino e se ne va. Ci lascia lì come due scemi, incavolati come belve.
Vabbè non possiamo perderci d'animo non possiamo far niente, purtroppo. Risolviamo con un altro tuk tuk e qualche euro in più. Siamo a Bokeo, 12:30, si parte, prezzo del biglietto 60.000 Kip a testa (6 euro), per la cronaca, c’è un’altra corsa alle 9 del mattino, per noi impensabile da prendere . Stavolta chi ci trasporta è un minivan, anche questo pieno in ogni ordine di posto. Il minivan conterrà forse tredici posti, ma l'autista  riempie pure i due posti affianco a lui. Si riparte, i chilometri da percorrere sono circa 190, sembrano pochi, ma con le strade piene di fossi, alcuni tratti sterrati, altri con lavori in corso e ancora tornanti ripidissimi, dove il minivan arranca a venti all'ora, il risultato è una
media di percorrenza di 40 Km orari. Il viaggio diventa lunghissimo. Il minivan è scomodissimo, siamo strettissimi in sedili minuscoli e la testa che barcolla a destra e a
sinistra. Per fortuna c’è un paesaggio bellissimo, foresta da entrambi le parti della strada, straordinario. La stanchezza ci assale e la testa inizia a ciondolare, la schiena reclama e il di dietro pure. Alle quattro siamo a destinazione. Siamo stremati, attorno alla stazione dei bus, dove è tutto su sterrato, quattro case, quattro baracche, due distributori di benzina e due bancomat, di cui uno fuori servizio; benvenuti a Luang Namtha Bus Station. Ci guardiamo intorno sconfortati, il Laos non è sicuramente un paese che accoglie il turista a braccia aperte, almeno per ora. Proviamo a chiedere qualche informazione, le uniche cose che sanno dire in inglese sono i prezzi dei tuk tuk, per il resto zero assoluto. Addirittura un ragazzo, grandicello, e' scappato; saremo mica così brutti !? Dobbiamo trovare dove dormire, possibilmente vicino alla stazione dei bus, perché domani mattina vorremmo andare via da qui. Un cartello di fronte: “Guesthouse”. Entriamo e chiediamo ad una specie di orso con felpone e cappuccio il prezzo e visione della camera. Lui al primo “Hello” tira fuori un cartello con scritto in inglese: room 1 day Kip 70.000. Ok vediamola: è squallida, il bagno fa schifo ma il letto sembra decente, per una notte potrebbe andare (prezzo 70000 Kip = 7 euro circa). Depositiamo i bagagli e andiamo a cercare qualcosa da mangiare, abbiamo mangiato solamente una banana e qualche wafer in tutto il giorno, siamo affamati. Lo sconforto sale di più, ci sono tre baracche all'aperto con una temperatura che la sera necessita di piumino. Pensare di mangiare all'aperto ci angoscia ma guardiamo cosa
propongono i “menù”. Due con menù incomprensibili, nel terzo ci disgusta la visione della carne verdognola e lasciamo perdere. Risultato, compriamo, nella stessa guesthouse di alloggio, due barattoli di noodles, quelli che si vendono anche nei nostri supermercati, li riempiamo di acqua calda e li mangiamo in camera, ci sembrano la miglior cosa (comunque sono davvero mangiabili). Un'altra sorpresa l'abbiamo avuta quando ci siamo seduti sul letto per mangiare la “cena”; non c’è materasso! solo un tavolato con una coperta sopra e un lenzuolo, è durissimo, si sono fatte le sette di sera, la camera è freddissima e non esiste riscaldamento. Senza neanche il coraggio di lavarci, alle 20.00 siamo a letto vestiti, Roberta addirittura con il piumino.  Buonanotte, si fa per dire…..passerà.
La mattina alle 6.30 siamo già svegli e dolenti, usciamo quasi subito per fare i biglietti per l'altro transfert che ci aspetta, quello per Nong Khiaw, dove ci si può probabilmente rilassare un pochino tra affluenti del Mekong, grotte e foresta.
C'è tanta nebbia e la temperatura è davvero bassa. FRIUSUUU. Qui c'è una notevole escursione termica tra giorno e notte.
Ovviamente la nostra colazione sarà un caffè americano, grazie alle scorte di bustine di nescafe’ che abbiamo sempre con noi e all'acqua calda del bollitore della guesthouse. Fatti i biglietti, siamo i primi. Costo 100.000 kip a testa (tot. 20 euro). Partiamo alle 9.00, unica
partenza giornaliera. Anche qui un minivan, più confortevole del precedente ma pur sempre piccolino e le ore di viaggio dovrebbero essere sei. Puntuale ma sovraccarico di turisti, parte alle 9.00. Il viaggio comprende diverse soste: dopo due ore per toilette; dopo altre due per mezz'ora di pranzo e poi diverse fermate che fa l’autista per sue esigenze o semplicemente per dare passaggi ad alcuni suoi conterranei tra i villaggi. Quando ci fermiamo per il pranzo, idem come ieri, due baracche polverose in cui c'era solo roba incomprensibile, già cotta oppure sulla brace. Noi, affamati come siamo,
non disdegnano del pollo alla brace e del fegato su spiedini, non sappiamo di che animale, né vogliamo saperlo. Era buono. Con le mani sporche, toccando soldi e qualunque altra cosa (qui non ci sono i lavandini con bagno e sapone, al massimo un bagno turco e stop) mangiamo e facciamo finta che quella carne non sia quella verde che vediamo sempre nei mercati; chissà l'aviaria o altro se sono in agguato. Un po’ di carta igienica per pulirsi, spesso si usa così, già visto da altre parti, e si mangia. Pazienza, ormai è fatta. Comunque, tornando al trasferimento, alla fine, dopo circa sette ore, arriviamo
a destinazione. Il nostro alloggio è molto carino, sta sul fiume Nam Ou, un affluente del Mekong. La visuale panoramica dal balcone è meravigliosa e ci appaga di tutto il disagio del viaggio. Ma indovinate cosa facciamo subito??? una mega doccia interminabile. Stanchi ma ristorati, andiamo a mangiare qui vicino. Non c'è praticamente niente. Poche case due localini/baracca. Oggi mangiamo dove si dice che si mangi molto bene: Mama Laos. Ci accoglie una ragazzina che si spaventa quando chiediamo il menù e scappa dicendo “no english”. Intravediamo all'interno della casa/cucina una signora anziana (forse la cuoca), sdraiata su un materasso, avvolta da coperte, che guarda la tv; ci fa cenno di
sederci fuori e aspettare. Ok, aspettiamo. Dei francesi molto carini ci dicono che questo è l'andazzo normale ma che vale la pena aspettare perché la cucina è buonissima. I tavoli sono rigorosamente di plastica, con tovaglia di plastica insudiciata, le posate dentro un contenitore alla mercé di ogni cosa, salse e salsine aperte e salviette di carta per pulirsi, come in ogni baracca che si rispetti, sempre così anche in Myanmar e nelle baracche su strada in Thailandia . Arriva una ragazza molto carina che parla un pochino di inglese e riusciamo a farci portare tre pietanze: una tipica del Laos, una con germogli di bambù carne e verdure e l'altra solo di verdure cotte che qui come in Birmania definiscono “fried”, fritte, ma sono spadellate. Il piatto laotiano era una zuppa di noodles laotiani, praticamente spaghettini di riso, verdure e carne, un brodo buonissimo così come tutto il resto e siccome la temperatura è scesa, ci sta proprio bene. Spesa “cena” 50.000 Kip (5 euro) compresa birra “Laosbeer”, buona, buona, buona. Ok stop, rientriamo in alloggio, nella camera confortevole e pronta ad accoglierci per la nanna.