"quando avremo ottanta anni, avremo probabilmente imparato tutto dalla vita .
Il problema sarà ricordarlo"

06 marzo 2019. Siem Reap. Angkor, 1° giorno.


Addio pane, benvenuta nuova moneta il Riel cambogiano (il dollaro statunitense è molto usato) : 1$=4000 riel ovvero 1 euro = 4.300 riel.
Ci si sveglia in questa nuova città, dove l'antico impero Khmer mise le proprie radici. L'intenzione è quella di andare subito in una delle mete prefissate da prima di partire dall'Italia: Angkor, l'antica capitale del regno Khmer, che prospero’ dal IX al XV secolo e che ebbe come fulcro principale il tempio di Angkor appunto. Dista 7 km da Siem Reap e siccome abbiamo le bici dell'hotel a disposizione, le prendiamo e ci incamminiamo verso questa meraviglia del mondo.
Purtroppo, colpa nostra, avevamo dato per scontato che la biglietteria fosse nei pressi del sito, invece no, la biglietteria è da tutt'altra parte, a 7 km dall'ingresso all'area. Arrivati, quindi, all'ingresso, cioè dopo circa 7 km tra caos cittadino e caldo, dobbiamo tornare indietro e percorrere altri 7 o 8  km per fare i biglietti. La biglietteria è in uno spiazzo dove c'è anche il museo cittadino. Fila veloce per il biglietto: per un giorno 37 dollari per tre giorni 62 dollari per una settimana, non mi ricordo. Il biglietto di tre giorni ha una validità di 10 giorni entro i quali puoi fare 3 ingressi. Conviene assolutamente fare questo. Non pensate di poter fare tutto in un giorno.
L'area è estesissima sono circa 400 km² tra templi e foresta. C'è il circuito piccolo dove si trovano le attrazioni più suggestive e il tour grande, l'area più a nord e più estesa. Armati di biglietto con tanto di foto scannerizzata allegata, torniamo al check in, altri 7 km, c'è un caldo terribile. Timbro sul giorno del primo ingresso, iniziamo. Non si può descrivere la bellezza e la particolarità di questo posto. Visitiamo diversi templi, da Ta Prohm dove i ficus strangolatori stanno invadendo e inglobando le mura, diventato ancor più famoso dopo che, nel 2001, giardino qui alcune scene di Tomb Rider, agli altri templi “minori” ; il caldo però è veramente opprimente. Sudiamo e beviamo acqua come spugne. Vediamo la gente soddisfatta ma sfinita, persone grondanti,  come noi del resto. Non ci arrendiamo. Aspettiamo il pomeriggio tra le rovine e
tante foto per arrivare, alle 16.00, al cuore dell'intera area: Angkor Wat, dichiarato patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel ‘92. È una meraviglia. È enorme, suggestivo, misterioso. Originariamente costruito dal re Khmer Suryavarman II come tempio indù dedicato al dio Vishnu e come il suo tempio di stato e il suo eventuale mausoleo, gradualmente trasformato in un tempio buddista verso la fine del XII secolo È uno dei più grandi monumenti religiosi del mondo. Aspettiamo il tramonto qui ai suoi piedi. Purtroppo alle 17.30 chiude i battenti e il personale di guardia è severissimo nel far rispettare l'orario. Il sole tramonta alle 18.00 circa e per mezz'ora stiamo fuori le mura e godiamo dello spettacolo da lontano. Stiamo vicino al
laghetto che gli sta davanti e vediamo in esso il suo riflesso, commovente da quanto è bello. Siamo esausti. Si rientra all'imbrunire, in bici, percorrendo i primi km nella strada contornata dalla foresta per poi finire nel caos della città. Guidano da matti. Ti tagliano la strada senza rispetto; sorpasso a destra a sinistra e te li ritrovi davanti contromano 😱. Finalmente in albergo. Sono le 19.00 circa. Tra caldo torrido, kilometri percorsi, almeno una trentina (sicuramente pochi ma a 40° all'ombra troppi!! ) , da stamattina fuori, siamo bolliti. Doccia e a cenare si va a piedi in un ristorante/bettola che ci ispira. Buonanotte 😪

5 marzo 2019. Lettera al Laos

Caro Laos
Caro Laos ti lasciamo, senza grandi rimpianti e con un po’ di amaro in bocca. L'amaro di chi aveva aspettative troppo alte nei tuoi confronti. L'amaro di chi aveva letto delle tue bellezze o si era fatto convincere da pseudo viaggiatori che, avendo 15 o 20 giorni di ferie l'anno, solo perché sono in vacanza, vedono tutto bello; probabilmente perché hanno tutto organizzato con i tour operators che li portano dove tutti  sorridono, basta pagare.
Ma va bene così, siamo felici di averti  conosciuto, perché crediamo di poterci permettere queste osservazioni, osservazioni spesso condivise da viaggiatori incontrati nel nostro cammino. Di te salviamo il Mekong con i suoi affluenti e la vita intorno ad essi; le montagne a forma di cupoloni (come quelle che disegnano i bambini) ricoperte di alberi maestosi; le grotte meravigliose; la vegetazione della foresta; Luang Prabang; il COPE di Vientiane; le cascate spettacolari della piana di Bolaven e le 4000 isole; lo sticky rice(il riso glutinoso), il pane e il caffè. Buttiamo via: l'accidia, si,si, il vizio dell'inoperosita’, ce l'hai nel DNA; i trasporti, l'incuria del tuo patrimonio, delle tue bellezze, la maleducazione nei confronti dei turisti, il mancato rispetto per essi e, per finire, la tua gente. Nessuno può osare dire che questo non sia un popolo ostile, antipatico fino al midollo. Non è questione di essere poveri, perché non lo sono nell'accezione comune del termine. Non sono costretti a chiedere l'elemosina e nessuno muore di fame. Vivono del loro orticello delle loro galline e si accontentano così. Paese martoriato da saccheggi, bombardamenti, lotte clandestine, depredato da tanti popoli “civili”, sofferente e piegato, non hai però alcuna giustificazione nel non volerti risollevare. Il tuo governo social comunista è il dramma più grande che hai ma ti sta bene così. Trent’anni fa gli australiani hanno voluto foraggiare questo governo con contributi, per aprirti al turismo e tu, che fai? Ti mangi i soldi e una parte la devolvi al “turismo”. Prendi (costringi) le persone dal loro giaciglio domestico, dalla polvere sulla quale e con la quale convivono, fai indossare loro una divisa, li catapulti negli alberghi nuovi di zecca o in qualche “ristorantino/bettola ed ecco a voi, persone scazzate, ignorantissime e soprattutto ostili perché non hanno voglia di fare niente tanto meno accogliere queste rotture di balle di scemi che vengono a camminare in montagna, che fanno attività all'aperto, che ridono e sono felici di incontrarti. A loro bastavano il telefonino, al quale sono sempre attaccati, peggio dei nostri adolescenti, la tv e il motorino; a loro non preoccupa di essere parte del mondo e di perdere anche la minima opportunità di evolversi; hanno internet ma mai lo usassero per vedere o leggere cosa si fa e come ci si comporta dall'altra parte del mondo. Stiano lì allora, da soli, isolati dal resto del pianeta, sommersi di immondizia e plastica; implodi in te stesso caro Laos, perché per quanto bello tu possa essere, al mondo ci sono bellezze ben più degne di essere visitate e ci sono meraviglie in cui è più giustificabile vedere speso il proprio denaro o semplicemente le proprie ferie annuali.
Caro Laos, ti salutiamo, SABAIDI (Sabaidee) e ti ringraziamo, KOPTAI (non abbiamo capito come si scrive) ; ti ringraziamo perché ci hai insegnato come non si deve essere, come non ci si deve comportare nell'incontrare e accogliere il mondo.

Approfondimento, per capire:

“ Dopo il crollo del blocco sovietico ebbe inizio una parziale liberalizzazione economica e politica. Dal 1992 il Paese si è aperto al turismo e nel 1994, grazie a finanziamenti australiani, è stato costruito il primo ponte sul Mekong “il Ponte dell’Amicizia thai-lao”, che unisce Laos e Thailandia in corrispondenza di Vientiane. È il primo ponte costruito sul Mekong in tutta l'Indocina e negli anni seguenti ne furono costruiti altri nel paese. Nel 1998 il Laos entrò nell'ASEAN, l'organismo che riunisce gli Stati del sudest asiatico. Attorno al 2000, pur mantenendo l'organizzazione politica degli anni precedenti, il paese si aprì all'economia di mercato e vennero presi nuovi sostanziosi accordi commerciali con l'estero, in particolare con la Cina e la Thailandia, le cui aziende ed istituzioni bancarie hanno fatto da allora grandi investimenti in Laos, contribuendo al risollevamento dell'economia ed alla stabilizzazione della valuta. L'attuale Presidente e capo del partito è Choummaly Sayasone.

Malgrado l'apertura democratica iniziata negli anni ottanta, la corruzione degli impiegati statali e la mancanza di diritti civili continuano ad affliggere il Paese. Secondo l'indagine effettuata nel 2011 dall'ONG statunitense Freedom House, il Laos occupava quell'anno il 154º posto, su 178 Paesi esaminati, per l'indice di corruzione. Le leggi emanate per sradicare tale fenomeno vengono raramente applicate. Anche la libertà di stampa è molto limitata e tutti i mass media nazionali sono di proprietà dello Stato. La libertà religiosa è ammessa ma non è possibile per le fedi minoritarie fare proseliti; anche i membri della locale sangha, la comunità di ecclesiastici del Buddhismo Theravada (la fede religiosa della stragrande maggioranza dei laotiani), sono sottoposti al controllo statale.

La libertà accademica è a sua volta limitata e gli insegnanti sono posti sotto il controllo delle autorità. In questo campo la situazione è migliorata con l'assunzione di docenti stranieri. Gli studenti che hanno accesso all'istruzione all'estero vengono selezionati dal governo. Il controllo dello Stato sui cittadini si è fatto meno rigido, ma sono tuttora vietate le assemblee non autorizzate. Dopo che il governo ha firmato nel 2009 la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, si è creata una rete di ONG, in prevalenza straniere, alle quali è proibito affrontare temi politici. I sindacati sono tutti emanazioni dello Stato, lo sciopero è legale ma viene fatto raramente.

La magistratura è sotto il controllo del partito unico e i detenuti soffrono pesanti condizioni di vita. Le forze dell'ordine spesso mettono agli arresti cittadini in modo illegale. Ha fatto scalpore la vicenda del laotiano Sombath Somphone, un operatore nel settore sociale di fama mondiale scomparso misteriosamente nel dicembre 2012, vicenda alla quale il governo si è dichiarato estraneo. Gli appelli da parte della comunità internazionale al governo laotiano per il ritrovamento di Sombath non hanno dato alcun frutto.”

5 marzo 2019. Da Don Khone a Siaem Reap


La giornata di oggi ci vedrà protagonisti in un trasferimento di quelli
impegnativi. Oltre a cambiare “città”, cambieremo pure nazione. Oggi entriamo in Cambogia e lasciamo il Laos che ci ha ospitato, non tanto volentieri, per un mese, l'impressione è questa. Partiamo dal moletto di Don Khone, ci aspettano 400Km circa da fare. Giusto il tempo di fare colazione e la barca viene a prenderci, carica altri passeggeri e alle 8:00 salpiamo. Da questa isoletta arriviamo a Ban Nakasang. Abbiamo fatto i biglietti con AVT, un agenzia che, sulla carta, dovrebbe essere un po più affidabile rispetto le altre.
Prezzo del biglietto da Don Khone a Siaem Reap, 28€ a testa. A proposito, a Don Khon non ci sono ATM (bancomat), quindi prelevate prima di arrivare alle 4000 isole. Tornando al nostro trasferimento, dopo circa 30 minuti di navigazione in barca fatiscente, come tutto del resto, attracchiamo a Ban Nakasong (qui ci sono i bancomat); ci spostiamo per qualche centinaio di metri, un minivan ci attende, pensavamo di avere un servizio un po migliore, non è così. Minivan strapieno; per far salire un passeggero in avanzo ci dobbiamo stringere e per mezz'ora questa sarà la nostra situazione “stretti stretti”. Siamo al confine con la Cambogia.
Per uscire dal Laos troverete degli sportelli, a destra del passaggio obbligatorio, in cui siede la polizia di frontiera. Sono militari scazzatissimi e poco cortesi che hanno, ormai, la consolidata consuetudine di rubare 2 dollari a testa, così, come tangente per poter uscire dal paese. Tutti lo sanno, pochissimi protestano, tutti siamo totalmente impotenti, qui non si scherza. Messi due timbri sul passaporto dati i due dollari a cranio, puoi uscire. Attenzione: vi dobbiamo raccomandare, purtroppo, di fare questo passaggio con questi farabutti di militari, perché, di fronte a questi, sul lato sinistro, ci sono alcuni civili, in apparenza molto gentili, che ti invitano ad affidarti a loro per le procedure di passaggio in frontiera. Questi ti faranno tutto ma facendoti pagare almeno 5 dollari a testa in più. Tutto per due moduli semplicissimi da compilare all'ingresso in Cambogia. Il furto, che non riguarda la somma ma ovviamente il gesto, quindi, è da entrambi i lati.
Lasciato il check point laotiano, facciamo qualche centinaio di metri in una  una landa desolata, non c'è un cane, nel vero senso della parola. Arriamo in prossimità di due edifici pacchiani, simili a pagode, qualcuno ci indica di entrare in uno dei due. Siamo totalmente soli perché il resto della comitiva del minivan probabilmente si è fatta abbindolare da quegli imbroglioni della frontiera in Laos. Entriamo in questo specie di grande ufficio con diversi sportelli. All'interno ci sono anche qui dei militari, faccia cupa, poco accoglienti, poco disponibili. Ci indicano il primo modulo da compilare, molto semplice. Primo sportello: consegna di tutto ovvero una fototessera, 35 dollari, passaporto, modulo compilato. Ti prendono le impronte digitali, ti fanno una foto (non bastava la fototessera) e poi passi allo sportello 2, affianco. In questo, il militare timbra il passaporto. Sportello 3: compilizione e consegna di un altro modulo, simile al primo. 4 sportello ti danno l'ok e ti lasciano andare.
Abbiamo impiegato pochissimo ed è andata bene. Sempre a piedi e sotto il sole, usciamo dal gate e arriviamo all'ufficio AVT: una baracca nella polvere, che vende due biscotti e cucina qualcosa da mangiare qualora si avesse fame. Sono circa le 10.00 e ci comunicano che il bus, anzi minivan (viaggiano solo minivan tra i confini), partirà alle 11.30. Caldo, polvere e attesa. Arrivano anche gli altri dispersi, alle 12.00 si parte. Minivan fatiscente, aria condizionata poco efficiente e con finestini chiusi per la polvere. Fortunatamente il viaggio è “solo’’ di mezz'ora. Stop alla cittadina di Stung Treng. Qui ne vediamo delle belle; turisti in attesa come noi, tutti ammassati in un altro pseudo ufficio ristorante dove dovrebbero essere smistati i passeggeri per le due mete: Siem Reap o la capitale Phnom Penh. Nel frattempo gente del posto che mangia insetti come le api il miele, graditissime le blatte, alle quali tolgono prima le zampette poi giù tutto in un boccone, sgranocchia e vai😱. Alle 14.00, con un'altro minivan leggermente decente, si parte finalmente: destinazione Siem Reap, circa 5 ore di viaggio. Le ore saranno 6; dentro il minivan l'aria condizionata non funziona bene ed è come fare la sauna. Una tappa per i bisogni e per sgranchire le gambe e via di nuovo.
Stranamente qui gli autisti corrono come matti. Assistiamo a sorpassi con sfioro e ci cag… spesso; Aiuto. Il nostro primo tramonto in Cambogia lo vediamo dal finestrino del minivan. Arriviamo sani e salvi alle 19.00. Ci fanno scendere in prossimità di un ufficio dove dei tuk tuk dell'agenzia AVT, gratuitamente, ti accompagnano all'alloggio prenotato, buon servizio. Ovviamente il conducente del tuk tuk si propone come autista e guida per i giorni del tuo soggiorno, per la modica cifra di 20 o più dollari. Ci sembra di essere tornati in Italia con i prezzi dei servizi. Arrivati in hotel, stremati, dopo una doccia da squoio, andiamo a cercare qualcosa da mangiare, to’ una pizzeria con forno a legna. Secondo voi? Era ottima. Ovviamente facciamo conoscenza con la nostra nuova bevanda: la Ankgor beer, buona buona.

3/4 marzo 2019. Don Khon (alla ricerca dei delfini)

Ieri, 3 marzo, non avendo programmi particolari, ci siamo dati al total
relax, anzi direi all'Otium latino, quello che serve a ragionare, organizzare, fare il punto delle situazioni e scrivere. Siamo tornati nell'oasi di bellezze naturali del parco delle Somphamit Waterfalls, dove avantieri abbiamo fatto lo zip line. Abbiamo trascorso la giornata qui, tra uno shakerato e un frullato, tra amaca e fiume. Oggi 4 marzo, dopo la colazione sullo scenario incantevole del fiume di fronte a noi, in cui si
vedono passare i ragazzini in divisa scolastica che vanno a scuola in barca, ci organizziamo per andare a vedere i delfini. Noleggiamo le bici per un euro l'una (10000 Kips) e ci incamminiamo verso il moletto visto due giorni fa, quello che sta nella punta a sud dell'isola, Ban Hang Khon. Arriviamo intorno alle 10 e uno dei procacciatori di affari, in questo caso il tour in barca, si avvicina e ci chiede se vogliamo vedere i delfini. Si definisce la cifra, dalla quale non si schiodano mai, e si va, 70.000 Kips (7 euro) per un ora di ricerca mammiferi dal muso corto. La giornata è bella calda ma in barca si sta bene. Il barcaiolo, che non è il procacciatore, è un incrocio tra un orso (antipatico) e una scimmia, da quanto è brutto. La barca poi è tutto un programma: assi di legno staccati, acqua che entra dallo scafo e lamiera mezzo divelta a copertura. Ovviamente mai i laotiani si dedichino a fare
manutenzione perché faticherebbero troppo. Il giro inizia e, sinceramente, non ci aspettiamo tanto. Dal punto di vista naturalistico è meraviglioso; alberi che affiorano dal fiume e che sono piegati dalla forza dello stesso quando è in piena; somigliano ai nostri bellissimi ginepri, che spesso vediamo nelle campagne, piegati dal nostro maestrale. Il fiume poi sembra un lago, non si percepisce la corrente e fa da specchio a tutto ciò che lo circonda. Arriviamo, dopo venti minuti di navigazione, in una specie di baia ed eccoli, ci sono davvero. Purtroppo
stanno distanti dalla barca ma possiamo vedere le loro pinne e ogni tanto il musetto simpatico. Sono veloci a salire per respirare ed è difficilissimo fotografarli ma sentire il suono dello sbuffo che emettono ogni volta che risalgono in superficie e vedere la pelle grigia e lucida che brilla al sole è emozionante. Insomma stiamo circa mezz'ora qui, attorniati da loro che però non si mettono in bella mostra; nel
frattempo il barcaiolo si riposa, dormicchia. Ok, va bene così, rientriamo al molo; riprese le bici torniamo verso l'albergo, la distanza è di circa 7 km. Prima di rintanarci al fresco della camera, nulla ci toglie un panino al tonno e birra ghiacciata. Alle 15.00 siamo in camera, doccia immediata, caffè e riposino. La serata sarà di organizzazione bagagli, organizzazione step successivi da fare, perché domani lasceremo il Laos, dopo un mese di permanenza, per entrare in un nuovo mondo a noi sconosciuto: la Cambogia.

2 marzo 2019. Don Khon - visiting Don Det


Le giornate sono sempre bellissime. Caldo torrido ma la costante presenza del fiume ci dà respiro. Decidiamo di continuare ad ispezionare la parte restante dell'isola, verso sud. Riprendiamo le bici e iniziamo a pedalare. Le

strade sono molto pietrose, quindi, sembra di avere un motopicco. Ormai conviviamo con polvere, caldo e sudore. Nel nostro girovagare, ieri, abbiamo incontrato un sardo, un ragazzo sardo di San Sperate, Alessandro. Oggi ci imbattiamo proprio in lui che rientra dal punto da noi prefissato per oggi. Ci dice che non c'è più possibilità di inoltrarsi e che ad un certo punto la stradina è interrotta da un ponte diroccato. Ovviamente si torna indietro per percorrere la strada alternativa, Alessandro viene con noi. Siamo in tre e chiacchierare con un sardo, vicino di casa, viaggiatore e curioso come e più di noi, ci fa tanto
piacere. Arrivati, pedala, pedala, dove volevamo, ovvero alla parte estrema a sud, ammiriamo lo scenario da un molo dal quale parte il tour per vedere i famosi delfini dell'Irrawaddy. L’irrawady per noi è uno dei bellissimi ricordi del Myanmar, è il fiume che percorremmo, in battello, nel tragitto Bagan/Mandalay. Il nome attribuito a questo mammifero deriva dal fatto che fu avvistato per la prima volta lì, in Myanmar, nell'Irrawaddy. Questi delfini sono stanziali anche in quest'area e spesso vengono avvistati. È molto diverso da quello comunemente conosciuto, il suo nome scientifico è Orcaella Brevirostris ed è simile al Beluga. Il nome scientifico deriva dal fatto che è imparentato con l'orca e che ha il muso corto, dal latino brevi rostris, dal rostro (muso) corto e qui Piero Angela si ritira. Comunque non li abbiamo visti🤣. Per vederli o sperare di vederli, prenderemo un battello nei prossimi giorni e vi racconteremo. Per ora stiamo ad ammirare lo scenario dal molo; è davvero bello quì, sembra un lago anzi una laguna.
Affiorano ciuffi di isolotti qua e là e l'acqua ne fa da specchio. Riprese le bici torniamo indietro, ormai abbiamo esplorato in lungo e largo Don Khon. Ci rimane l'isola ad essa collegata da un ponte: la caotica, irriverente, hippie, Don Det. Attraversiamo il villaggio della nostra isola, il ponte, e siamo a Don Det. Percorriamo la via centrale, anche questa sterrata ma più regolare, é molto carina, molto più accogliente di Don Khone; ci sono guesthouse, piccoli alberghetti, uffici turistici con parvenza di uffici
turistici, sembra davvero ben organizzata. La cosa migliore poi è che si affaccia su un angolo di Mekong molto più suggestivo della nostra zona. Isolotti e verde ci appagano la vista. Non vediamo né ci accorgiamo di questa descrizione fatta da molti, sul web, della sua stravaganza, anzi. Probabilmente la sera si anima un bel po’ ma sinceramente se l'avessimo vista prima saremmo rimasti qui; per le serate “mondane da sballo”, laddove ci fossero realmente, basterebbe semplicemente evitarle.Ci piace
tanto Don Det. Ci fermiamo per un panino e birra fresca, che con un po di difficoltà troviamo, perché la pigrizia innata di questa gente è veramente esagerata. Alessandro è sempre con noi, un'ottima compagnia. Ci dà suggerimenti di viaggio, scambiamo tante riflessioni importanti sulle impressioni di viaggio e arriviamo spesso alle stesse conclusioni, soprattutto sui laotiani: sono delle MER.. . §«¬¿|§ E !!! Se qualcuno avesse un'opinione diversa prego contattarci perché vorremmo sapere che film ha visto. Per
rientrare da noi prendiamo la via parallela, che fiancheggia il fiume. Molto scenografica, bellissimi scenari. Foto e foto, anche quando troviamo, sulla stradina, una carbonaia. Non è una donna che vende carbone ma un manufatto in cui si produce il carbone vegetale in modo artigianale. È una cupola alta circa un metro, fatta di un impasto di argilla e fieno, dentro cui si mettono pezzi di legna che vengono carbonizzati, per il procedimento andate a leggere Wikipedia 😉 . OK, arriviamo all'alberghetto che ci ospita, fronte fiume. Salutiamo Alessandro, che domani partirà per alti lidi, con la promessa di rimanere in contatto e soprattutto di vederci in Sardegna per scambiarci opinioni davanti ad un buon bicchiere di birra o il nostro buon vino e i nostri desiderati formaggi; a proposito qui non esistono e ci mancano tanto. Un'altra cosa che manca in queste due isole è un ATM (Bancomat), quindi venite con contanti.

1 marzo 2019. Don Khon - Somphamit Waterfalls Park

1 marzo 2019.  Don Khon
Ieri abbiamo visto, nel girovagare in bici, un'area dedicata a “parco” nella parte nord/ovest dell'isola. È un piccolo parco che si estende per qualche chilometro, qui decidiamo di trascorrere la nostra giornata. Essendo poco informati dal web, non pensavamo esistesse questa piccola oasi. Ci
armiamo di zainetto con acqua, cappellino e costume da bagno perché non si sa mai. Ci spostiamo a piedi dal villaggio, l'ingresso dista poco più di un chilometro. Questo parco si chiama “Don Khone Somphamit Waterfalls Park”, il biglietto di ingresso costa 35000 Kips a testa (3,5 €). Al suo interno c'è un bel sentiero che fiancheggia il fiume, questo mostra la sua potenza esibendo i “muscoli” con rapide e cascate impetuose. Una potenza d'acqua impressionante. Il sentiero termina in una caletta di sabbia che a metà giornata diventa rovente (non camminate scalzi, è da ustione) e declina sino al fiume dove è possibile fare il bagno, attenzione alla corrente. Questo tratto di fiume è chiamato “Tat Somphamit”. L’altro nome che usano i locali è, Li Phi,
significa "Trappola per lo Spirito" e gli abitanti del posto credono che le cascate agiscano proprio in questo modo: una trappola per gli spiriti malvagi, che li tiene lontani mentre si lavano lungo il fiume. Con un po di fortuna vedrete pescatori locali che rischiano la pelle vuotando le loro nasse di bambù, dal pesce pescato, attaccati alle rocce, e sfidando il flusso violentissimo dell'acqua. Altri, penso che peschino apollaiati tra le rocce, ma non sono riuscito a capire con quale sistema. Tornando alla caletta, sopra di questa è situato un ristorantino/bar con un menù “essenziale” ma con frullati e
shakerati di tutti i tipi. Adiacente al ristorantino/bar tanti gazebo dotati di amaca e materassini dove poterti rilassare. Noi per ora non ci vogliamo rilassare, anzi, al contrario vogliamo adrenalina. Nel parco esiste una “zip line”: dicesi zip line 🤣😂🤣 andatevelo a vedere. Questa zip line è la più lunga del Laos, ha uno sviluppo di 580m per 7 tiri di cavo e sorvola le rapide più impetuoso del fiume per 1km e mezzo. Adiacente all'ingresso del parco, infatti, c’è un
altro stabile con ristorante e un ufficio biglietti zip line. Prenotiamo per il giro, 250.000 Kips a testa (25€); ci imbragano, due minuti per spiegarci come frenare e siamo sul primo albero che funge da partenza per il primo tratto. Ecco, affidarsi a un cavo d'acciaio per sorvolare delle cascate tumultuose un po di strizza te la da, soprattutto qui, dove non sono così attenti a sicurezza e manutenzione. Ma noi siamo tra l'incoscente e la consapevolezza, per
esperienze pregresse, che queste attrezzature reggono carichi ben più superiori a quelli sottoposti e poi chi organizza ci sembra serio, quindi, firmata la liberatoria con i numeri da contattare in caso di☠️☠️, VAI, si vola. Si va da una sponda all'altra volando sulle rapide che, sotto di noi, ci ricordano quanto la natura sia potente e quanto dobbiamo chinarci al suo cospetto. Vai, voliamo da destra a sinistra e da una riva verso la riva opposta e poi si torna su questa sponda e ancora sull’altra; si attraversano tre ponti, per i più pignoli “monkey bridges” (simili ai ponti tibetani) e infine si arriva al baretto sopra la spiaggetta 😁😁, UNA GODURIA. Ora si che siamo “stressati”; scendiamo al fiume, spiaggia rovente, facciamo il nostro primo bagno nel Mekong, in zona detta morta (per chi non sapesse è il punto in cui non c'è
la corrente) e pulita. Risaliamo fino a un gazebo, ne prendiamo possesso e trascorriamo quì la nostra giornata facendoci dondolare da un'amaca, tra un frullato e uno shakerato, siamo in modalità “zero stresssss”. Poco prima che tramonti il sole prendiamo la via del ritorno e, nella passeggiata che ci riporta verso il villaggio, ci godiamo un tramonto spettacolare. Finiamo la giornata nel nostro ristorantino preferito gustando le prelibatezze di questo bravissimo cuoco; oggi tipica cucina laotiana: una zuppa al curry a base di vegetali e pollo per Robi e un piatto particolare di pesce sminuzzato e marinato con erbe e foglie di lime, racchiuso in una foglia di banano e cotto a vapore in un contenitore di bambù, il nome non è complicato "Mok Pa". Buonanotte e a domani.


Se poi vuoi ridere vedi il video. Link sotto



 

28 febbraio 2019. 4000 isole - Don Khon


Viste le dimensioni dell'isola oggi abbiamo in programma: tour in
bicicletta. Cercheremo alcuni punti già individuati sulla carta. Queste isole sono famose, oltre che per essere tante, anche per le rapide e cascatelle che il Mekong crea; proprio alcune di queste rientrano nei nostri obiettivi odierni. Andiamo a prendere le bici che terremo tutto il giorno, costo del noleggio 10.000 Kips l’una; siamo pronti a partire. Andiamo nella costa orientale di Don Khon, che non è un prete, bensì l'isola che ci ospita. Percorriamo qualche kilometro in un sentiero sconnesso e con molte pietre, ma i muscoli ricordano ancora come si pedala e andiamo tranquilli. La nostra pedalata termina nei pressi di un ponte sospeso che attraversa il fiume. Parcheggiamo e proseguiamo a piedi. Oltre il ponte, seguiamo le tracce di un piccolo sentiero, che ci guida fino alle
rapide più importanti. Lo spettacolo naturalistico é veramente bello, il GPS le menziona come Khane Paksy Waterfall. Cerchiamo i punti più suggestivi, anche fotograficamente, e, per non farci mancare nulla, raggiungiamo una piccola spiaggia poco più a sud. La sabbia è
ricchissima di un minerale che riflette la luce come fossero frammenti microscopici di specchio, prendono la scena degli alberi grossissimi che mostrano le loro radici nude. Sono fotogrammi che rimarranno impressi nei nostri ricordi. Si rientra; raggiunto nuovamente il ponte ci rimpossessiamo delle nostre bici e si parte. Per il rientro decidiamo di percorrere un'altra “stradina”, alternativa, che fiancheggia il fiume.
Attraversiamo qualche baracca sparsa lungo il sentiero, assistendo a spaccati di vita quotidiana che sono il sale che condisce il viaggio. Certe situazioni spiegano l'indole poco ospitale dei laotiani. Questo che sto affermando è un pensiero covato e riflettuto a lungo prima di permettermi di esprimerlo: non abbiamo trovato, girando da nord a sud, questa indole ospitale e sorridente, tanto decantata, del popolo laotiano. Ti sorridono e sono cortesi, il personale dei grandi alberghi e quelli che ti devono vendere qualcosa, altrimenti sei un essere inesistente. Penso che le istituzioni abbiano violentato questa gente, imponendo loro di accettare il turista, ma a loro del turismo, almeno alla maggior parte, “non gliene può fregar di meno”. Sono persone semplici, alle quali piace lavorare il meno possibile, mangiare e dormire, tutto il resto fanculo. Alcune volte entri in piccoli negozietti, dove il gestore è coricato per terra che guarda TV o telefonino e non ti degna neppure di un sguardo. Della serie: mi devo scomodare per te, se vuoi  stare, aspetta i miei ritmi (normalmente biblici). Siamo nuovamente nell'agglomerato principale. Tutte le strade sono in sterrato, fa eccezione un pezzetto di un centinaio di metri che è in cemento, posso immaginare nel periodo delle piogge, fango in ogni dove.
Certo non si può dire che abbiano una qualità di vita eccelsa; ma chi si accontenta gode. Troviamo un piccolo ristorantino sull'argine del fiume, il sole è caldissimo, ci rifocilliamo all'ombra con un paninozzo al tonno e un bicchiere di birra, forse due o tre, booh ho perso il conto 😂🤣😂. Forse è meglio parcheggiare le bici e rilassarsi un'oretta in camera con condizionatore a manetta. Così facciamo. Tra una cosa e un'altra si è fatta sera. Cenetta in un ristorantino di un carino eccezionale, per il Laos, “The Garden”, c'è un cuoco sopraffino. Passeggiatina e si rientra in camera. È ora di scrivere qualche riga nel blog e salutare amici e parenti nei social. Buonanotte.